Ho cercato di scrivere libero, attenendomi ai fatti, ma lasciando inevitabilmente trapelare le mie opinioni, indipendentemente da quelle di chi legge. Se così facendo ho offeso qualcuno, non era mia intenzione e me ne scuso sinceramente (ogni riferimento a persone e fatti reali è puramente casuale!).
"La via più breve per giungere a se stessi gira intorno al mondo", Hermann Keyserling
Lascio Castel del Piano non senza qualche rimpianto, soprattutto per Cactus che
fa l'indifferente. La moto è pronta, io anche, più o meno.
Farò tappa a Firenze per gli ultimi preparativi.
"
Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando
gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei
tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e
attenzione che ogni altro suo messo o esploratore.
", Italo Calvino
Finalmente è il gran giorno. Non stavo più nella pelle, come un serpente
quand'è l'ora della muta. Mi sveglio presto per finire i preparativi con
calma. Devo distribuire bene le cose fra le borse, ricordare che uno si porta
sempre via troppa roba e comprare alcune medicine e cibi secchi. Vado da
Orsola che mi presta un prezioso portasoldi. Cerco di lasciare in ordine le
cose che non porto via, per facilitare la vita di chi rimane. Oltre alle
guide, porto 3 libri: il Milione di Marco Polo, la Pechino - Parigi di Luigi
Barzini e le Città invisibili di Italo Calvino. Saluto Carla
e parto alle 9:50, quasi in orario. La sensazione di libertà
mi sorprende e l'Appennino passa in un lampo. Passo a Bologna a salutare
Barbara, mia collaboratrice e amica. Ci scambiamo alcune foto e mi porta in un
gran negozio di sport a comprare delle posate da campeggio. Poi vado sulla
tangenziale all'appuntamento con Giampi, lo aspetto mezz'ora sotto il sole,
dopo di che, visto che non mi risponde al cellulare, gli mando un sms e
riparto verso nord. Quando mi fermo a un autogrill a mangiare un'insalata,
ricevo un suo sms in cui dice che c'erano code per un incidente. Mi fermo a
far benzina alla stazione di servizio di Mestre, dove ci sarebbe un primo
ritrovo, ma non c'è nessuno. Comunque penso a Marco Polo, nato nella vicina
Venezia, ed al viaggio che lui ha fatto più di 700 anni fa: serve a tenere i
piedi per terra. Il caldo è allucinante ed il termometro arriva a 39 gradi.
Rinfresca solo verso Pontebba per alcune gocce di pioggia. Arrivo a Tarvisio
alle 16:30 dopo 470 km. Con il GPS trovare l'albergo è facilissimo, ma l'avrei
trovato lo stesso, ché qui sono precisi e mettono un sacco di cartelli. Trovo
già Michelangelo con la moglie ed un'altra coppia con un bel Land Rover
trasformato in caravan. Gli altri arrivano alla spicciolata sotto un gran
temporale. L'ultimo è Giampi. Ceniamo tutti insieme e Carlo ci distribuisce i
passaporti, raccoglie 100 euro da ciascuno per la "cassa trasporti" ed altri
per la cassa comune e ci illustra alcune buone regole. Decidiamo di andare a
Budapest, invece che a Bratislava. Michelangelo va ad accompagnare la moglie
che torna a Roma in treno.
Sveglia alle 6:30, colazione alle 7 e partenza alle 7:30, un classico per
Avventure nel Mondo, dicono. In realtà partiamo alle 8, anche perché dobbiamo
sistemare le gomme delle moto sulle auto. La giornata è bella, limpida e
fresca. Si passa subito il confine con l'Austria e poi tutta autostrada fino a
Graz. L'andatura è piuttosto lenta, sui 100 km/h, rischio l'abbiocco, ma così
si sta tutti uniti e non si rischiano multe. Le soste alle stazioni di
servizio sono piuttosto frequenti, almeno per me, ma spezzano la monotonia con
scenette sempre divertenti. Alcuni vanno spesso avanti a fare foto e riprese.
Pian piano si stabiliscono regole e ruoli che, sono sicuro, dureranno tutto il
viaggio. A Fuerstenfeld lasciamo l'autostrada e dopo pochi chilometri di
strada normale passiamo il confine con l'Ungheria, dove ci controllano i
passaporti, dovremo abituarci. Continua la strada normale fra basse colline
molto verdi, ricorda la Slovacchia. Bellissime 4 cicogne in un nido su un
palo, che mi fa notare Giorgio. Lui e il suo K75 qualche annetto ce l'hanno,
ma tengono gli occhi aperti. Sono passate le 13:30 quando chiedo a Carlo di
fermarci a mangiare. Due delle auto si erano già fermate e Carlo torna
indietro a chiamarli senza successo. Con Giorgio, Carlo ed altri mangiamo ad
un ristorantino, mentre altri mangiano un panino e altri fanno picnic sotto un
albero. Quando siamo pronti a ripartire arrivano anche le due macchine
separatiste. La mia proposta di passare dal lago Balaton viene scartata per
passare più tempo a Budapest e ne varrà la pena. All'arrivo sbagliamo strada e
siamo costretti a passare dal centro. All'uscita da un tunnel sotto Buda ci
appare il Danubio con un ponte pedonale e Pest dall'altra parte, uno
spettacolo difficile da dimenticare. Arriviamo all'hotel Ibis e divido la
stanza con Michelangelo, che è preoccupato del suo russare, che poi si rivela
ancor più lieve di quello di Carla. In 12 andiamo a cenare a Buda, ma prima
siamo costretti dalla bellezza dei luoghi a visitarli. La vista sul Danubio e
su Pest è spettacolare, come pure la cattedrale gotica ed alcuni edifici
circostanti.
Sveglia alla solita ora con la differenza che non facciamo colazione in
albergo. Si parte quindi verso le 7:15. Dobbiamo prendere l'autostrada M3 e
torniamo verso il centro. Ad un incrocio è chiaro che dobbiamo andare a destra
per imboccare la M3, ma Carlo e Giorgio sono convinti di dover continuare
dritti. Aspettiamo gli altri, ma, proprio quando arrivano, loro due partono
dritti. Gli altri confermano che bisogna andare a destra. Pensiamo che Carlo
e Giorgio torneranno presto indietro e non ci muoviamo. Dopo mezz'ora niente.
Decidiamo che le auto imbocchino la M3 e si fermino alla prima area di
servizio dopo 10 km. Io vado a cercare Carlo e Giorgio, mentre Maurizio e
Giampi mi aspettano lì. Arrivo sul fiume dove comincia la M2, ma non trovo
nessuno; torno indietro e con gli altri due raggiungiamo il gruppo, facciamo
colazione e ci avviamo. Per fortuna dopo una mezz'ora ci raggiungono i
fuggitivi e siamo di nuovo tutti insieme. Quello che un po' mi preoccupa non è
il fatto che si possano fare degli errori, ma che ci si intestardisca
nell'errore facendo perdere a tutti un sacco di tempo. Se Carlo, non
vedendoci, avesse capito subito di aver sbagliato e fosse ovviamente tornato
indietro, tutto si sarebbe risolto in pochi minuti. Non c'è gran storia fra
le basse colline ungheresi fino al confine con l'Ucraina dove abbiamo un primo
assaggio di stupide formalità. Qui non abbiamo i visti che non sono necessari
e dobbiamo compilare un modulo. Un doganiere non lo consegna a Maurizio finché
lui non dice che l'Ucraina è campione del mondo. Lo spettacolo di quattro
ucraini che spingono la loro macchina in panne lungo il ponte di confine
ricorda altri tempi e situazioni. Comunque passiamo tutti senza troppi
problemi. Il paesaggio cambia, sia per la povertà delle case e dei veicoli sia
perché ci sono delle belle montagne che passiamo lungo una buona strada con
grandi curve, dove, come dice Carlo, puliamo le spalle delle gomme. Le auto
sono meno contente per via dei camion non sempre facili da passare. Quindi il
gruppo si sgrana e quando Carlo decide di cercare un albergo Giorgio e il Land
Rover sono già avanti. Alcuni vorrebbero arrivare a L'viv, il cui centro è
sito dell'Unesco. ma Carlo propende per non far tardi. Dopo un tentativo
fallito, Carlo imbarca sulla moto un locale che ci porta in un
bell'alberghetto gestito da donne, che ci accolgono e ci sistemano in 4 o 5
per stanza in letti esclusivamente matrimoniali. Io proseguo in moto fino a
Stry per cercare i fuggitivi senza successo. Per fortuna nel frattempo hanno
telefonato alla Land Rover, che era già oltre Stry e sta tornando indietro.
Giorgio invece si trova solo più tardi quando è già a L'viv e lì rimane. La
cena è buona e piacevole. Il programma per domani è di cercare di arrivare a
Kiev, distante circa 610 km, e di passare comunque da L'viv, che è sulla
strada, a prendere Giorgio e vedere il centro.
Ci stiamo abituando alle partenze quasi in orario. Quando ci svegliamo c'è
nebbia, ma ora che partiamo s'è già alzata. Arrivando a L'viv ritroviamo
Giorgio con un diavolo per capello perché ha speso 45$ di albergo. Insiste che
qualcuno di noi gli ha detto di andare avanti, quando eravamo fermi ad
aspettare Carlo che cercava l'albergo, ma intendevamo che parcheggiasse un po'
più avanti. Lui non vedendo Carlo pensava che fosse avanti ed è andato.
Insomma uno sfortunato malinteso ingigantito dalla testardaggine. Giorgio
pretende che la cassa comune gli restituisca i 45 $ che ha speso per
l'albergo, ma Carlo decide giustamente di ridargli solo quello che abbiamo
speso noi per l'albergo. Chissà perché Giorgio è andato in un albergo così
caro: nel seguito del viaggio si separerà spesso da noi per cercarsi un
albergo meno caro. Visitiamo il centro di L'viv, una città viva con gran
carattere, belle piazze e palazzi antichi di vari stili e colori, ma ben
armonizzati insieme. La piazza del vecchio mercato, rettangolare con 4 fontane
agli angoli, è piena di lavori, ma ugualmente suggestiva. In vari mercatini
vendono matrioske, quadri e varie cianfrusaglie. Alle 11 ripartiamo verso
Kiev. Il paesaggio è pianeggiante, molto agricolo, semplice, ma non
poverissimo, anche se impressiona la differenza con l'Ungheria. Sembra un po'
di essere tornati 50 anni indietro. C'è moltissimo grano, anche mais e alberi
da frutta. Pranziamo in un bar dove cucinano uova, sempre tutte donne. Apro la
danza dei cambi di moto scambiando la mia con la Yamaha di Daniele. Poi provo
l'Aprilia di Carlo che ha un gran motore ma è meno comoda della mia,
soprattutto di sospensioni, che su queste strade piene di buche, avvallamenti
e solchi di ruote sono importanti. Ci fermiamo in un albergo, forse l'unico di
Zitomir. Impressionante come il bagno sia stato costruito per essere brutto,
ma poco male. C'è un po' di nervosismo, anche perché Giorgio per recuperare un
po' dei 45$ che ha speso ieri vuol dormire sul suo materassino. Spero che
andando avanti le cose miglioreranno: dobbiamo tutti ancora liberarci dalla
ruggine dell'ufficio e per molti queste prime tappe sono solo di trasferimento
verso le meraviglie che ci aspettano. Io cerco di godermi anche queste.
Inoltre alcuni si lamentano che il cambio di programma per passare da L'viv e
Kiev ci fa fare troppa autostrada, mentre loro preferirebbero le strade
normali (curiosamente sono gli stessi che poi in Cina insisteranno per fare
sempre l'autostrada). Ceniamo in un ristorante dove c'è una coppia che canta e
Giorgio si esibisce in varie danze, sembra che non pensi più ai 45$.
Mi sveglio alle 6 per partire alle 6:30 con Alessandro e la sua famiglia a
vedere Kiev. Infatti ieri sera abbiamo insieme deciso che l'appuntamento
iniziale della giornata è al monastero di Kiev alle 14. La strada per Kiev
passa senza storia a parte una breve sosta per sollevare Alberto dalla sua
nausea. L'arrivo a Kiev rivela subito una grande città con una sua storia ed
una sua vita rilevante internazionalmente. Ci fermiamo nella piazza centrale
dominata da un grande angelo dorato. Su una grande scalinata scorre dell'acqua
ed ai suoi piedi c'è una manifestazione in favore della deputata donna
coinvolta in scandali di cui si è saputo anche in Italia. Facciamo una buona
colazione con cappuccino e crepes, mentre anche Alberto sembra riprendersi.
Poi saliamo a piedi su una delle colline ai bordi del Dniepr su cui si
sviluppa la città. Lì c'è un'altra grande e bella piazza con al centro la
statua di San Yeroslav, da noi soprannominato "il bersagliere", e due chiese
alle estremità. Una, preceduta da una porta a torre, è la chiesa di Santa
Sofia, costruita verso il 1100 quando il patriarca di Costantinopoli si è
trasferito a Kiev. Purtroppo l'esterno è stato pesantemente modificato nei
secoli con aggiunta di intonaco, cipolle, guglie e vernice verde, ma in alcuni
tratti stanno ritirando fuori i muri originali. Mi impressiona il fatto che la
bigliettaia all'ingresso, cui chiediamo se è Santa Sofia, ci dice che no, è
Santa Maria: dev'essere un retaggio di quando il regime comunista ha
nazionalizzato le chiese. Comunque all'interno le scritte in inglese parlano
di Santa Sofia. E' molto bello ed articolato, sembra una Santa Sofia di
Costantinopoli in piccolo. Ci sono mosaici dorati ed affreschi alle pareti. Si
visitano anche il matroneo e le stanze del patriarca. Poi vediamo il
refettorio con annessa una chiesa che ha una bella cupola bassa bizantina.
Torniamo ai veicoli, scendiamo sul Dniepr, ripassiamo dalla piazza di Santa
Sofia ed andiamo a vedere una vecchia porta nelle mura della città di cui è
rimasta solo la porta. Quindi al vecchio monastero, luogo dell'appuntamento,
dove gli altri sono già arrivati e Giampi e Carlo si stanno occupando delle
batterie delle moto di Daniele e Maurizio. La prima è da cambiare e viene
rimpiazzata con una un po' diversa montata in verticale, all'altra manca solo
del liquido. Mancano ancora due ore all'appuntamento ed proseguiamo con la
visita del monastero. La vista su Dniepr ed il resto della città è molto
bella, favorita dalla limpida giornata, quasi di settembre. Il monastero è
diviso in due parti, di cui una è tornata ai monaci, ed è un vero luogo di
culto molto forte. I turisti sono pochissimi, mentre c'è una moltitudine di
fedeli che visitano uno dei centri principali della chiesa ortodossa.
Visitiamo le grotte, specie di catacombe in cui ci sono le mummie dei vecchi
patriarchi, munendoci come gli altri di candele. Lo spazio e l'aria sono
pochi, ma tutto è molto suggestivo. Passando da un bel camminamento coperto ci
spostiamo ad altre grotte e poi alla parte dove stanno i monaci. Lì purtroppo
la chiesa principale è chiusa per lavori, ma molto bella è la spianata
antistante dove domina una vecchia campana poggiata per terra. Come dice
Alessandro, nonostante la gente, c'è una atmosfera di pace e di silenzio.
Usciamo da una porta a torre con bei dipinti alle pareti esterne. Riusciamo
anche a fare uno spuntino mentre terminano le riparazioni alle moto. Si
riparte verso est ed una sosta di alcuni di noi motociclisti ad un
distributore genera un disguido con gli altri, che però si risolve
rapidamente. Decidiamo di arrivare a Poltava che dista 342 km da Kiev. E'
quasi tutta autostrada e si avanza rapidamente attraverso pianure agricole fra
file di grandi alberi. Carlo prova a fermarsi in alcuni alberghetti lungo la
strada dove però non c'è posto. Arriviamo così verso le 19:30 ad un basso
albergo di Poltava, la cui scorbutica gestrice vuole però essere pagata in
anticipo in valuta locale (dopo aver visto le stanze si capisce perché).
Andiamo quindi a cambiar soldi a un distributore. La cena è ritardata da
inspiegabili disguidi con l'assegnazione delle stanze. Comunque è buona e a
stomaco pieno si discute meglio. Infatti rimaniamo tutti coinvolti in
discussioni fra motociclisti e autisti, fra appassionati di arte, di natura e
di folklore, fra liberisti e amanti delle regole. Con Giampi scarichiamo le
foto sul portatile e poi finalmente si dorme.
Ci sveglia alle 5:38 uno sprovveduto che ha sbagliato stanza. Ne approfitto
per un diario più completo. A colazione ci sono solo tortellini e wurstel,
opto per i primi. Si parte quasi puntuali poco prima delle 8, poi dopo una
dritta di Carlo (nel senso che è andato dritto dove bisognava girare, e
l'aveva detto lui...) proseguiamo finalmente per una strada di campagna, molto
piacevole e senza traffico, dove la media è quasi da autostrada. Mi piace
talmente che provo a fare delle foto dalla moto. Attraversiamo una zona verde
e piena di acqua con vari pozzi petroliferi. Mi pare che l'umore di tutti sia
oggi molto migliorato. Appena si va su una strada un po' più importante
bisogna stare attenti alla polizia, che fa di tutto per spillarci dei soldi.
Molti di noi sono già stati beccati. Stanno per beccare anche me in un
sorpasso in discesa oltre la linea bianca. Infatti fermano solo Carlo e
Maurizio che sono davanti a me. Poi finalmente fermano anche me, ma ero
all'erta: appena vedo il cartello con il limite di 70 km/h rallento a 70. Mi
fermo subito prima del poliziotto e gli do i documenti tranquillo, ma pronto
alla lotta. Il poliziotto mi fa vedere il suo misuratore di velocità che dice
83 km/h. Gli dico che non è possibile, scrivo 70 su un pezzo di carta e gli
indico sia il mio tachimetro sia il GPS che ha l'indicatore della velocità.
Già questo lo impressiona e mi chiede cos'è. Insiste un po', ma io sono fermo.
Poi sostiene che il limite è a 50 km/h. Allora gli indico le direzione del
cartello e gli faccio segno di seguirmi per andarlo a vedere. Rinuncia.
Sicuramente mi aiuta anche il fatto che si siano fermati attorno alcune delle
moto e auto. Il poliziotto allora mi fa segno di seguirlo dall'altra parte
della strada dove mi porta al posto di polizia: ci sono un poliziotto ed una
poliziotta. Confabulano poi il capo insiste e dice che fa un "protocol",
mostrandomi il modulo di una multa. Non mi scompongo perché mi pare una
minaccia che non sono in grado di sostenere. Infatti la conversazione scivola
su cose più futili, cominciano a sorridere, il capo dice "magna, magna" e mi
fa capire che vorrebbe dei soldi, ma mi lascia andare e mi ridà i documenti.
Gli stringo la mano e me ne vado facendo finta di niente, ma dentro di me sono
trionfante. Poi attraversiamo una zona mineraria, pianeggiante ma con grandi
mucchi di terra scavata. La strada diventa tortuosissima e piena di buche.
Attraversiamo la cittadina di Stachanov ed immagino che sia la patria di colui
che ha dato il nome allo stacanovismo. Oggi Daniele indossa pantaloni neri
rigati e mocassini neri con sopra la maglia di Avventure nel mondo e il suo
casco coperto di felpatino rosso. Arriviamo a Lugansk che sono da poco passate
le 17. Sarà contento Carlo che finalmente potrà fare la sua telefonata. Le
procedure per ottenere le stanze in albergo sono ancora più lunghe del solito:
l'ospitalità non è una caratteristica degli ucraini. Come al solito divido la
stanza con Michelangelo e dopo una rapida doccia andiamo a fare due passi ed a
bere una birra in un bar dove ci sono un coccodrillo, una scimmia ed un
cincillà. Poi torniamo con gli altri nello stesso posto per la cena, stavolta
tranquilla. Infine crollo a dormire.
Ultimo giorno di Ucraina. Con Michelangelo ci alziamo alle 6:30 ed alle 7
scendiamo a far colazione, che effettivamente comincia già a quell'ora, anche
se ieri sera non era chiaro. Comunque si parte solo poco prima delle 9.
L'attesa comunque non è noiosa: sembra di essere in passerella, come ha detto
qualcuno di noi, con tutte le belle ragazze che passano. Andiamo alla
frontiera con la Russia che dista solo una cinquantina di chilometri. Sulla
strada ci fermiamo ad un distributore a spendere in benzina gli ultimi soldi
ucraini. La cassiera, Marina, è un po' scorbutica, ma piacevole a vedersi e
genera una serie di frizzi e lazzi. Alla frontiera iniziano lunghe procedure
burocratiche, che nonostante ci sia poca coda durano varie ore. Si passa da un
funzionario all'altro, prima ucraino, poi russo. Dobbiamo fare
un'assicurazione temporanea per la Russia (20 euro per le moto, 50 per le
auto). Scrivo almeno 4 volte le mie generalità e quelle della moto e loro le
ricopiano decine di volte, perfino su un dischetto. Nell'attesa incontriamo
due giovani inglesi che vanno a Vladivostok con un vecchio taxi londinese, che
hanno comprato per 100 sterline. Hanno già dovuto cambiargli la pompa del
gasolio e il radiatore, ma non sembrano preoccuparsene, grandi viaggiatori gli
inglesi. Quando stiamo per finire sono quasi le 16 (c'è anche il secondo
cambio di fuso) e Carlo va avanti a cercare un albergo: sente molto la
responsabilità di trovare un letto per tutti. Lo trova ad una decina di km in
un paesino anonimo, ma piacevole per la disponibilità dei suoi abitanti. Già
alla banca dove acquistiamo rubli, Maurizio scherza con la cassiera
disegnandole un cuore ed un fiore che le passa nel passasoldi. All'albergo
sperimento il lavaggio dal bidone di acqua fredda, ma è più pulito di altri
bagni precedenti. Di fronte all'albergo c'è una larga strada con una
passeggiata alberata al centro, dove la gioventù locale fa bella mostra di sé.
Alessandro e famiglia perdono 9 a 4 una partitina di pallone con i locali.
Dopo aver visto vari posti per mangiare, ceniamo in albergo e dopo la cena
iniziano le danze. Io, dopo aver fotografato alcune ragazze che festeggiano un
compleanno, me ne vado a dormire, ché domattina la sveglia è alle 6 e la
partenza alle 6:30.
" ... quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza. " Italo Calvino
La sveglia non è facile per quelli che ieri sera hanno fatto le ore piccole e
si parte alle 7. Al secondo incrocio mi tocca andare a riprendere Carlo ed
altri che sono andati dritti verso Rostov, mentre Riccardo, Ivano e Daniele ne
approfittano per fare colazione. Poi non c'è più possibilità di sbagliare che
la strada è tutta dritta ed abbastanza noiosa. Il paesaggio è simile
all'Ucraina, ma l'agricoltura è meno fiorente e la gente sembra più cupa. C'è
un gruppo di carri armati che si esercitano alla guerra lungo la strada e non
posso non pensare ai poveri ceceni che sono poco lontani. Molto bella è la
discesa delle alture sul Don, dove tanti italiani sono morti nel terribile
inverno del '43. Ognuno pensa ai ricordi ascoltati da genitori, zii o amici.
Sul Don c'è un ponte in discesa controllato da militari e dopo soli 50 km
arriviamo a Volgograd, la storica Stalingrado, verso le 15. Andiamo subito al
museo della guerra, costruito per celebrare la vittoria sui tedeschi nel '43.
L'esterno è spoglio e un po' scalcinato, forse volutamente, ed ha accanto un
vecchio mulino bombardato a ricordo della terribile battaglia. All'interno
invece ci sono delle interessanti ricostruzioni della guerra, soprattutto la
sala circolare all'ultimo piano. che ha tutt'intorno un dipinto che
rappresenta le varie fasi della battaglia con sotto cimeli disposti a
continuazione del dipinto. Una guida russa scandisce una spiegazione e, pur
incomprensibile, aiuta a ricostruire l'atmosfera. Al piano terreno festeggiano
un matrimonio con i tavoli a semicerchio ed una bambina che balla in mezzo.
Andiamo a vedere l'enorme statua della vittoria, alta 76 metri e costruita su
una delle colline della battaglia. Sotto c'è un grande mausoleo tondo dove
arde una maestosa fiaccola sorvegliata da 4 soldati sull'attenti. Pare proprio
la versione russa della statua della libertà, con una spada al posto della
fiaccola e quest'ultima relegata nel sottosuolo. Impressionante è il fatto che
tutti i monumenti che abbiamo visto in Russia siano militareschi. Il Volga
scorre maestoso ed insuperabile, anche se ora ci stanno costruendo un ponte.
Ci avviamo verso Astrakan alla ricerca di un albergo. Ne troviamo uno ancora
nei sobborghi di Volgograd, ma non può ospitarci tutti. Così si fermano gli
autisti con Daniele e noi altri motociclisti proseguiamo a cercare un altro
albergo. Il primo è in riparazione, il secondo è pieno e da lì ci riportano al
primo, da cui nel frattempo sono usciti gli ospiti di un matrimonio con cui ci
intratteniamo mentre Carlo confabula. Finalmente ci portano in un albergo
fuori mano dove possiamo sistemarci. E' tardi per la cena ed andiamo a far
spesa in un supermercato e ci mangiamo in albergo quello che ognuno di noi ha
scelto, un'ottima soluzione. Carlo decide di mandare per scherzo un messaggino
agli autisti dicendogli che siamo quasi arrivati ad Astrakan, così domani
potremo viaggiare un po' per conto nostro.
Lo scherzo di Carlo ha il vantaggio di farci svegliare con una calma
sconosciuta da quando siamo partiti. La signora dell'albergo ci prepara un tè
e mangiamo gli avanzi di ieri sera. Partiamo alle 9, come Carlo ha deciso. Si
viaggia spediti lungo il Volga su una strada normale, ma con buon asfalto e
senza curve. Con Maurizio ci scambiamo le moto e la sua BMW 650 GS ha un buon
motore, che tiene bene le nostre velocità e vibra poco per essere un
monocilindrico. Ha il difetto che si prende molta aria sul casco, facilmente
risolvibile montando un cupolino più alto. Nonostante l'andatura sostenuta
siamo in ritardo all'appuntamento di mezzogiorno in un paese 50 km prima di
Astrakan, quindi proseguiamo e troviamo gli altri all'ingresso della città,
fermi per il pranzo. Astrakan si rivela subito piacevole con grandi strade e
bei palazzi. Ci fermiamo vicino al Cremlino, una fortezza del '500, perché il
centro è chiuso per la passeggiata domenicale. Comunque dei poliziotti ci
fanno passare per andare ad un albergo sul Volga. Siccome è un po' caro (32
euro a testa) i motociclisti vanno in un altro vicino alla stazione. Io
stavolta mi unisco agli autisti, dividendo la stanza con Michelangelo. Dopo
una buona doccia lascio il bucato in ammollo ed andiamo a visitare la città.
Lungo un lato delle mura del Cremlino c'è una bella passeggiato molto larga,
piena di fiori, alberi e gente di varie etnie. Ci scorta un ragazzo biondo
locale ed entriamo nel Cremlino da una porta a torre campanaria molto simile a
quella di Santa Sofia a Kiev. Dentro c'è una bella spianata con tre chiese di
varie grandezze. Il resto della città non ha gran che, a parte la passeggiata
sul Volga che la sera si anima. Torno in albergo a farmi una pennichella in
attesa della cena. Quando mi sveglio il sole sta tramontando sul Volga e c'è
molta gente. Tutti guardano le navi militari ancorate di fronte. Andiamo con
Michelangelo a cenare su un barcone ancorato. Mentre mangiamo dalle navi parte
un grande spettacolo di fuochi d'artificio e getti d'acqua dagli idranti delle
navi, che suscita grande entusiasmo nella folla. Riflettiamo che qui i
militari controllano anche i divertimenti.
" E da quella si partirono e passarono il fiume del Tigri (il Volga, n.d.r.) e andarono per uno diserto lungo diciotto giornate; e non trovarono niuna abitazione, ma Tarteri che stavano sotto le loro tende e viveano di loro bestiame. " Marco Polo
Partiamo a ritrovare gli altri dopo una buona colazione. Traversiamo il delta
del Volga passandone molti rami su ponti di varia foggia. Finalmente l'ultimo
non ha ponte e lo passiamo su un barcone che scorre lungo un cavo. Subito dopo
c'è la frontiera del Kazakistan con le solite lunghe formalità. Anche a causa
del cambio di fuso finiamo che è l'una e ci fermiamo per uno spuntino al primo
distributore. L'atmosfera cambia parecchio, il Volga è un vero confine di
continenti: cominciano i cammelli, grossi, paciosi e di colore piuttosto
scuro. Ci sono anche aironi e volpi. Il paesaggio è piatto con laghetti, ma
più brullo. La strada ancora piuttosto buona è però interrotta da lavori, dove
diventa sterrata. In uno di questi punti Maurizio, seguendo Carlo su una pista
a lato dello sterrato, trova improvvisamente un tratto di sabbia e cade
rimanendo con la gamba destra sotto la moto in una posizione tale che non
riesce a liberarsi, se dopo circa un quarto d'ora aiutato da un operaio del
cantiere stradale. Quindi, quando tutti arriviamo all'entrata di Atyrau, dove
ci aspetta Massimo, il fratello di un proprietario di KTM, che conosce Giampi,
Maurizio non arriva. Torno indietro a cercarlo e lo incontro dopo 21 km che
procede lemme lemme. Faccio inversione e raggiungiamo gli altri scortati anche
da Ivano e Giampi che sono venuti anche loro a dar man forte. Tornato al
distributore trovo abbastanza stupido che gli altri non abbiano ancora
cominciato a rifornirsi di carburante anche visto che dobbiamo riempire pure
le taniche. Chiedo quindi un po' bruscamente a Carlo di darmi per favore dei
soldi per fare benzina, soldi di quelli anche miei che lui ha cambiato. Carlo
cincischia portando taniche e alle mie insistenze si arrabbia. Comunque
riforniamo tutti e finalmente quando ripartiamo sono passate quasi due ore da
quando ero arrivato al distributore. Seguiamo Massimo che ci porta in un
moderno residence costruito da lui. Carlo per punirmi mi assegna una stanza in
un posto separato e meno lussuoso e poi mi aggredisce a male parole, mentre
con Daniele andiamo in piscina. Come coordinatore è piuttosto scoordinato.
Altri si lamentano della gestione della cassa comune. Comunque la piscina è
stupenda e rilassante con sauna e bagno turco, li proviamo entrambi. La cena a
buffet è ottima ed abbondante. Con Giampi scarichiamo le foto e poi tutti a
nanna.
Finalmente un giorno di avventura. Comincia con un ottima colazione al
residence di Massimo dove tutti fanno rifornimento per il pranzo. Poi con
Giampi rimaniamo indietro per preparare e mandare le sue foto con il computer.
Infatti il CD che gli ho preparato ieri sera non si riesce a leggere sul
computer fisso di Massimo (forse l'ho scritto in un formato Mac?). Quindi
mandiamo dal mio portatile 5 foto di Giampi alla KTM che preme per averle e,
viste le foto, li capisco. Compare misteriosamente anche Maurizio e quindi
partiamo in 3 buoni ultimi. Usciamo da Atyrau e prendiamo per Dossor. La
strada è un alternarsi di asfalto con parecchie buche e sterrato dove fanno i
lavori. Raggiungiamo presto gli altri che sono fermi a riparare la gomma
anteriore di Carlo che si è sgonfiata per via del cerchione lievemente storto
su una buca. Ci mettiamo dentro una camera d'aria di Maurizio e tutto va a
posto. Pranzo da solo su un bellissimo prato cosparso di cammelli poi aspetto
gli altri ad un distributore di Qulsari leggendo Il Milione insieme al
benzinaio. Dopo le buche aumentano e su una di queste Giorgio cade con la moto
e si fa male ad un polso, che gli curiamo e fasciamo. E' molto bravo a
proseguire senza un lamento. A Maykomgen l'asfalto bucherellato finisce e
comincia un pista sabbiosa su cui Giorgio, che ha gomme da strada, Carlo ed io
ci troviamo in difficoltà. Giorgio cade varie volte, ma ci riprova sempre.
Alla fine troviamo un camioncino su cui caricare le moto di Giorgio e Carlo,
mentre io mi preparo a proseguire alleggerendo la moto delle borse. Nel
frattempo arriva anche una Uaz su cui carichiamo anche la mia moto, dopo
averla abbassata togliendole i parabrezza, e la moto di Daniele. Lui in realtà
sulla sabbia va benissimo con la sua moto leggera e le gomme tassellate, ma
forse per solidarietà con noi decide di caricare anche lui. Giampi e Maurizio
sono avanti. Anzi Maurizio ricompare a bordo di un furgone cui ha chiesto un
passaggio per tornare indietro dopo un caduta, che ha lasciato la sua moto a
terra 15 km più avanti. Riparte in macchina con Ivano. Poco dopo riparte anche
la nostra carovana. Vado a bordo dell'Uaz dove si svolge una buffa
conversazione nelle lingue più strane. Naor, il pilota, è simpatico e guida
molto bene per salvare il carico dagli scossoni peggiori. Arriviamo così a
Oporny, diamo 200 dollari e qualche gadget di Giorgio ai trasportatori ed un
locale ci porta a quello che doveva essere un albergo, invece è un caffè dove
non ci danno nemmeno da mangiare, solo qualche birra molto gradita. Ci
accampiamo quindi lì intorno, prepariamo degli spaghetti e ceniamo sotto le
stelle. Manca Giampi che speriamo sia andato avanti a Beyneu. Con altri 3
dormiamo sulla terrazza del caffè che ha una comoda piattaforma di legno. Gli
altri dormono in tenda o in macchina. Bellissimo.
Approfitto del mio turno di guardia dalle 5 alle 6 per scrivere il diario e
scaricare le foto e Michelangelo mi offre un caffè. La proprietaria del caffè
sembra diventata svizzera e pretende che ripuliamo dalla spazzatura i dintorni
della sua casa che diventano così l'unico posto pulito del Kazakistan. Con
l'aiuto di Vittorio, che ha grande curiosità e abilità tecniche, rimonto i
parabrezza e gli specchietti della moto. Nonostante tutti i nostri sforzi alla
fine ci manca un pezzo (il dado di una delle due viti del parabrezza, che
effettivamente mi era caduta nella moto smontando e che Vittorio rimedia
egregiamente con del nastro adesivo) e ci avanza una rondella di plastica. E'
stupefacente come tre pezzi di plastica trasparente cambino la fisionomia
della moto. Ripartiamo verso sud-est lungo uno sterrato che richiede grande
concentrazione per gli accumuli di sabbia e ghiaino. Ormai ho imparato a
trarmi d'impaccio accelerando e, nonostante che questo sia per me del tutto
contro intuitivo, il conseguente alleggerimento della ruota anteriore dà
stabilità alla moto. Non si finisce mai d'imparare. A Beyneu ritroviamo Giampi
che ha passato qui la notte in albergo. Facciamo la spesa e mangiamo davanti
al suo albergo. Ad una sosta dove mi sono fermato a far foto Carlo parcheggia
la moto davanti alla mia, poi scendendo si squilibra e cade insieme alla sua
moto, che rovina sua mia che cade anche lei. Sono talmente stupefatto
dall'effetto domino, che non riesco a scattare una foto. Comunque l'unica
acciaccatura seria è quella di Carlo che si è fatto male ad un ginocchio. Se
la mia moto dovesse cadere solo così ci metterei la firma. Arrivati alla
frontiera con l'Uzbekistan verso le 16, scopro che sul mio passaporto manca il
visto per l'Uzbekistan che tutti gli altri hanno. E' un guaio serio ed una
grave mancanza dell'organizzazione. Ovviamente i doganieri uzbeki non mi fanno
passare. Mi si rimprovera di non aver controllato di avere il visto. E' vero,
ma, anche volendo, come avrei potuto controllare? Intanto il passaporto mi è
stato consegnato a Tarvisio, quando ormai eravamo già partiti. Inoltre anche
per altri stati non ho il visto sul passaporto, per esempio per l'Ucraina, per
la quale il visto non è necessario, e per la Cina, per la quale abbiamo un
visto collettivo. Quindi il controllo avrebbe richiesto informazioni non
disponibili. Comunque ho pagato ad Avventure nel mondo 270 euro per avere
tutti i visti necessari. Carlo chiama Rashid Umarov, il corrispondente di
Avventure nel mondo a Tashkent che gli dice di mandargli una copia del mio
passaporto, con la quale lui può ottenere un visto. Telefoniamo a Roma e
gliela mandano loro, mentre noi cerchiamo di mandargli due foto del passaporto
con il satellitare. Dopo un paio d'ore sembra cha la situazione si sblocchi e
ci dicono di prepararci ad andare con il capo-dogana dal comandante del posto
di polizia di Karakalpakia. Dopo un'altra ora finalmente andiamo con Carlo e
Alessandro con la sua macchina. Siamo molto delusi quando anche lì ci dicono
di no e non serve far parlare il comandante Jamshid con un aiutante di Rashid.
Ci dicono di tornare tutti domani mattina verso le 10. Intanto il ginocchio di
Carlo gli fa parecchio male. Tornati alla frontiera mangiamo qualcosa, grazie
a Betti e ci accampiamo alla bell'e meglio nella terra di nessuno. Dormo con
Maurizio in una tenda prestata da Alessandro. La notte è stupenda e molto buia
e Maurizio impara in fretta. Penso che lungo la terra di nessuno si può
arrivare quasi dovunque.
Comincia una lunga giornata piena di incognite con la scrittura del diario
nella tenda. Poi esco a far due passi ed il bisognino mattutino. Torno alla
tenda seguito da tre pecore e Maurizio mi prende in giro ripetutamente. Con
Maurizio si è creato un gran feeling di battute. La sveglia del gruppo è
comprensibilmente piuttosto lenta e verso le 9 e mezza, visto che niente si
muove vado dalla guardia alla sbarra a chiederle quando possiamo tornare a
Karakalpakia. Dice che il capo sta facendo colazione: infatti vedo che
rimettono a posto la sua brandina di fronte al suo ufficio. Comincia così il
solito andirivieni da un ufficio all'altro per le pratiche. Sono le 11:30
quando siamo tutti pronti a seguire il pulmino dei doganieri. C'è un ultimo
intoppo con la moto di Maurizio che non parte e con Giorgio che con la sua
flemma inarrestabile non accetta di aspettare nemmeno il pulmino dei
doganieri. Al posto di polizia di frontiera di Karakalpakia mi prospettano due
alternative: o aspettare qui che arrivi il mio visto da Tashkent, da dove il
corrispondente dovrebbe apparentemente andare ad Alma Ati a farselo fare, o
tornare in Kazakistan ed andare direttamente in Kirgizistan passando da Alma
Ati. La seconda alternativa significherebbe perdere tutte le bellezze
dell'Uzbekistan, cosa che mi dispiacerebbe molto. Spero che il corrispondente,
che da ieri pomeriggio ha la copia del mio passaporto, si sia mosso utilmente.
Parlo quindi con il satellitare con Vittorio a Roma e lui mi raccomanda di
stare qui, ché il visto arriverà presto. Gli suggerisco di mandarlo da Roma,
piuttosto che far andare il corrispondente da Tashkent ad Alma Ati a
prenderlo. Anzi non capisco perché non ci abbia già pensato. Vittorio dice che
il disguido è stato creato dal fatto che anche mia sorella Anna ha chiesto il
visto per l'Uzbekistan a loro; sarà (poi mia sorella mi dirà che il visto per
l'Uzbekistan se l'è fatto fare direttamente in ambasciata a Roma), ma rimane
un grave errore. Comunque decido di rimanere in questo posto sperduto. Mi sta
già più simpatico quando, mentre Carlo torna al confine a terminare le
pratiche per gli altri, ammiriamo un fornaio che cuoce dei pani appiccicandoli
sulla parete interna di un forno di argilla e compriamo del cibo ad un
affascinante mercatino sotto dei teli bianchi. Ai ragazzini locali piacciono
gli occhiali da sole: ne rubano ben 3 paia e prendono anche le chiavi di
Carlo, che gli saranno del tutto inutili, visto che lui riparte con le copie.
Poi, dopo avermi lasciato il satellitare di Ivano e vari numeri telefonici, in
18 partono verso Qonghirat e io me ne resto qua. Faccio una passeggiata in
paese che non offre gran che oltre al mercato ed alla stazione. Passano 5
treni al giorno e qui fanno i controlli di frontiera. Con il satellitare
chiamo CdelP per avvertire Carla e Pietro e per dar loro il mio nuovo numero,
visto che ho perso il cellulare. Verso le 18:30 alcuni sergenti mi invitano a
mangiare degli spiedini di pollo con cipolle e birra: sono ovviamente molto
graditi. Poi alle 20 il soldato che parla inglese mi porta di nuovo a mangiare
nel loro refettorio, dove la loro cuoca ha preparato una buona zuppa di farro
con carne, acqua fresca e tè. Verso le 22:15 sono stanco e vado dormire molto
comodamente sul mio materassino nell'ufficio del capitano. Alle 23 mi
svegliano per andare a festeggiare il compleanno di un sergente che compie 26
anni. Gli spiego che io ne ho più del doppio e tento di resistere, ma cedo
alle loro insistenze. Mi portano in un appartamento di una casa poco lontano
dove il capitano ed 8 sergenti mi invitano a sedere alla loro scomoda tavola
bassa ed a mangiare per la terza volta. Hanno ottime focacce ripiene di carne,
insalata russa, verdure fresche, melone, anguria ed uva e si beve acqua,
birra, vodka e succhi di frutta. La cena è scandita da brindisi di vodka in
cui ciascuno, io incluso, a turno fa un discorso al festeggiato. Le donne non
partecipano alla festa, ma ogni tanto ne passa una fuori dalla porta e dalla
strada un'altra fa da interprete invisibile. Comunque anche il capo, dopo aver
bevuto vodka, parla un po' di inglese e si chiacchiera piacevolmente di varie
cose. Sono quasi tutti sposati, ma la famiglia è lontana, a Nukus, a Buqqara,
a Samarcanda o a Tashkent. Dopo che il sergente più vecchio ed altri due sono
andati a dormire decido che è anche il mio turno. Mi riaccompagnano al posto
di polizia di frontiera dove trovo Elena, una collaboratrice del
corrispondente di Tashkent, che dopo la rottura della sua macchina ieri, è
finalmente riuscita a trovare un'altra macchina con cui venire fino qui. Ha
incontrato gli altri ad un centinaio di chilometri da qui. Mi dice subito che
risolverà presto la situazione e che non mi lascerà qui da solo. Parla bene
inglese e deve subito rendersi conto dei motivi per cui il capo insiste a
tenermi qui, che ovviamente non sono cambiati. Nè aiuta parlare con il suo
capo Rashid, che speriamo si sia mosso per il mio visto. Elena è piuttosto
spaesata in questo posto di polizia e mi ripete che qui sono tutti molto
strani, mentre a me sembrano ospitali e normalmente isolati nel mezzo del
nulla. Andiamo a prendere il suo zaino ed a far ripartire il suo autista. Poi
si arrangia a farsi una doccia e dopo un tè la portano a dormire in un'altra
stanza che sono passate le due.
Comincia una giornata di attesa e di telefonate satellitari. Elena è in gamba,
parla bene inglese ed è diplomatica con i soldati. Vittorio da Roma cerca di
mettere in moto l'ambasciata italiana a Tashkent. Ad un certo punto Jamshid
accetta di ricevere via fax un documento dell'ambasciata che garantisca la mia
entrata. Andiamo ad una vicina fabbrica di gas dove pare che ci sia l'unico
fax della zona per farci dare il numero. In realtà però hanno solo una linea
telefonica interna senza connessione con l'esterno. Allora Jamshid accetta di
ricevere l'ordine da un suo superiore che ha visto il documento
dell'ambasciata. Speriamo quindi di poter partire entro le 15 in tempo per
arrivare a Qonghirat entro buio. Tutto il nostro castello crolla però quando
Vittorio mi spiega che le procedure locali richiedono invece tassativamente
che il mio passaporto vada a Tashkent per farci mettere il visto e poi torni
qui. Allora Elena si prepara a partire con il treno delle 20. Io, su
suggerimento di Vittorio, tento di convincere Jamshid a lasciarmi andare fino
a Qonghirat o Nukus, per abbreviare i tempi, ma invano. Comunque sono già due
giorni che sono qui e il mio passaporto avrebbe potuto partire almeno un
giorno prima, per esempio con Carlo che poi ha incontrato Elena lungo la
strada, ma è senno di poi. Certo che i soldati della guarnigione sono molto
gentili, comunicativi e mi nutrono come un'oca all'ingrasso. Con Elena si
chiacchiera piacevolmente perché è una giovane simpatica che conosce bene il
suo paese anche se è di origini russe da parte di padre e turche e ucraine da
parte di madre. Le traduco l'introduzione de "Le città invisibili" di Calvino.
Dopo una doccia e la prima cena Elena parte con il treno alle 20:30. Le dò 150
euro e 25000 sume perché possa pagare la macchina che dovrebbe riportarla da
Nukus sabato sera per arrivare qui domenica mattina presto. Apprezzo molto il
suo aiuto: anche se è il suo lavoro, lo fa bene e ci mette il cuore. Sono di
nuovo solo, poco male perché in realtà i soldati sono molto gentili. Askar,
che parla un po' di inglese e mi ha aiutato varie volte, vuole essere
menzionato nel mio diario e gli ho anche regalato un adesivo del viaggio Silk
Road 2006. La sera è bellissima con tutto questo orizzonte aperto. Alla
stazione di polizia hanno due pastori tedeschi, di cui uno molto bello, che
tengono chiusi vicino alla toilette. Inoltre girano anche altri due cani, di
cui uno, somigliante ad un cocker, dicono che è bravo a cercare droga ed è
socievole. L'altro è molto timido e si avvicina solo per gelosia dell'altro.
Dopo la seconda cena con i sergenti me ne vado presto a dormire, non prima di
aver fatto due chiacchiere con Carla e Laura, grazie al satellitare di Ivano.
Se mi avessero proposto di guidare la moto per 5000 km per arrivare nel posto
più sperduto del mondo a passare 4 giorni di pace, ci avrei messo la firma. Ed
ora eccomi qui, basta prenderla in pace. Almeno ora so che oggi devo aspettare
e posso organizzarmi senza ansie. Approfitto del tempo libero per tagliarmi la
barba e le unghie. Ho pulito la moto e caricato il GPS e l'iPod. Tutta la mia
roba è in ordine. Si diceva con Giorgio che Marco Polo, che ci ha messo 3 anni
ad arrivare in Cina ed in tutto è stato via 27 anni, viaggiando aveva il tempo
di ambientarsi, di conoscere la gente e di imparare la loro lingua; per cui,
quando è arrivato dal Gran Kan, già poteva parlargli nella sua lingua e
descrivergli le cose che aveva visto. Questi 4 giorni qui mi danno il tempo di
fermarmi a raccogliere le idee e guardarmi intorno con calma, cercando di
cogliere anche i dettagli. Non saranno i 27 anni di Marco Polo, ma è già
qualcosa. Quanto ad imparare la lingua, sono ancora molto indietro, anche
perchè qui parlano sia uzbeko, sia russo, sia karakalpakistano, la lingua di
questa regione che è una repubblica autonoma dell'Uzbekistan. Stamattina mi
portano a far colazione con i sergenti: uova fritte, focaccia, anguria e tè.
Poi arriva Jamshid e gli chiedo di poter fare un giro a fare qualche foto: mi
dà il permesso, ma non devo fotografare il posto di polizia e i treni. Un
soldato che parla un po' d'inglese mi dice di stare attento e di non andare in
luoghi isolati. Avrà anche le sue buone ragioni, che accetto volentieri, ma
forse non sa che domani dovrò farmi più di 1000 km solo con Elena, prima di
rincontrare gli altri. Me ne vado comunque al mercato, dove sono già stato
varie volte e la gente continua a sembrarmi tutt'altro che pericolosa. Delle
donne alcune vogliono farsi fotografare, altre no, e ridono riparandosi con
una mano. L'arrivo del treno dal Kazakistan delle 10:30 è oggi un avvenimento
anche per me. I soldati si dispongono uno per sportello, i sergenti vanno su e
giù. Non vedo nessuno che sale sul treno a controllare i passeggeri. Ogni
tanto qualcuno viene portato al posto di polizia per un controllo dei
documenti. La banchina ombreggiata da vari alberi è cosparsa di venditori,
soprattutto donne, che vendono cibi e bevande, ma anche vestiti e scarpe.
Alcune vanno su e giù lungo i vagoni con la loro merce: una ragazzina vestita
di rosa porta delle polpette su un piatto coperto di cellophan. Alle stazione
due ferrovieri mi chiedono di fotografarli nel loro ufficio; poi il loro capo
mi dice che non si può fotografare e gli altri due si danno da fare per
tenerlo buono. Anche uno dei sergenti sulle banchine mi dice che non posso
fotografare. Faccio del mio meglio per spiegargli che ho avuto il permesso del
suo capo Jamshid e che non fotografo il treno. Il treno sta fermo un'ora e poi
riparte verso sud-est, con qualche ritardatario che sale con il treno già in
corsa e tutte le sue masserizie e prole. A mezzogiorno telefono a Elena che mi
conferma che da Nukus ha mandato con l'aereo il mio passaporto a Tashkent e
che dovrebbe ritornare per le 21 e che lei ha già organizzato l'auto per
tornare qui. Chiedo a Jamshid di far venire qui domattina presto i doganieri
che devono timbrare il mio passaporto. Ad ora di pranzo c'è un po' di tensione
fra i soldati. Sospetto che abbia qualcosa a che fare con il fatto che sono
andato in giro a far foto, chiedo ad Askar, ma mi dice che sono piccoli
problemi fra di loro. Comunque faccio il solito pranzo con il loro piatto
tipico (riso con carote cipolle e carne) accompagnato da un'insalata di
pomodori, cipolle, peperoni e cetrioli. Poi mi concedo una pennichella e
faccio delle foto ad Askar scaricandole sul suo computer. Metto anche sul
computer di Jamshid le foto che abbiamo fatto ieri. Verso le 15:45 trovo una
chiamata non risposta e, mentre cerco di richiamare, mi chiama Alessandro che
mi dice che loro stanno andando verso Bukhara dove dovrebbero arrivare
stasera. Gli dico che spero di raggiungerli lì domani sera. Mi dice che la
strada da qui a Qonghirat sono 250 km di sterrato simile a quello dalla
frontiera a qui e poi 50 km di asfalto. Mi raccomanda di avere abbastanza
benzina, ma con il mio serbatoio dovrei fare 500 km. Dal treno delle 16:30
scende una coppia di sposi, lei in lungo bianco, lungamente festeggiati sulla
banchina con musica, canti, baci e balli, attirando un po' di attenzione dai
giovani del luogo, ma il gran caldo impedisce forse grandi entusiasmi.
L'aspetto delle persone è molto asiatico, un po' mongolo. Le donne hanno
fianchi stretti e spalle relativamente larghe. In maggioranza sono nere,
qualcuna tende al rosso. Le giovani hanno spesso un'aria di attesa. Le mature
assumono un'aria molto dolce, a volte sorridente, a volte concentrata. Sembra
che l'economia del luogo si concentri sul passaggio dei treni, vendendo
mercanzia a chi passa. Non vedo intorno coltivazioni, anche se al mercato ci
sono verdura e frutta fresche. Ormai riconosco varie persone ed alcune mi
salutano. Nel pomeriggio avanzato i soldati vengono riuniti in adunata sotto
il sole per un lungo sermone, poi fanno vari giri di corsa intorno al posto di
polizia ed esercizi nella palestra all'aperto. Io me la cavo con una doccia.
Poi la cena tarda. Telefono a Rashid che mi conferma che ha rimandato il
passaporto a Elena con il visto e lei me lo sta riportando. A cena c'è anche
un maggiore che conosce un po' l'Italia da letture e televisione. Si fanno gli
ultimi brindisi di vodka ed anche io faccio un discorso di ringraziamento. Poi
mi raccomando con Jamshid che domani siano qui alle 6 a timbrarmi il
passaporto. Vado a letto sperando che sia l'ultima volta qui, anche se mi ci
sono trovato bene.
" We are a long long way from home, Bob. Home's a long long way from us. I feel a dirty wind blowing, devils and dust. " Bruce Springsteen
Mi sveglio presto per preparare con calma i bagagli. Verso le 6:45 Elena non è
ancora arrivata e vado alla stazione per vedere se per caso è arrivata di là
come ha fatto la prima volta. Tornando al posto di polizia la trovo con il mio
passaporto ed il visto: bravissima! Mi dò subito da fare per cercare Jamshid
che arriva poco dopo e con mia grande sorpresa tira fuori dalla tasca un
timbratore e lo mette sul mio passaporto appoggiandolo su una delle borse
della moto: è fatta. Partiamo così poco dopo le sette. Elena mi dice che è
arrivata a piedi perché il suo autista ad un paio di chilometri da qui le ha
puntato contro un coltello e voleva i suoi soldi. Comunque sono felice di
essere di nuovo per strada. Si viaggia bene sugli 80 km/h. La strada è
drittissima ed è tutto così piatto che ho la sensazione che si veda la
curvatura della terra come in mare. Dopo 58 km sento qualcosa di strano nella
tenuta della ruota dietro, mi fermo e vedo che è bucata. Provo a ripararla con
la bomboletta schiumogena, ma il foro è troppo grande: la schiuma esce e non
lo tappa. Proviamo allora a continuare lo stesso e la moto va abbastanza bene,
anche se piano e richiede una grande concentrazione. Riusciamo così a fare ben
80 km fino ad un posto di blocco. Lì vicino c'è un meccanico che fa una
riparazione di fortuna inserendo nel foro una specie di stoppa con della
colla. Sembra tenere. Visto che è già passato mezzogiorno mangiamo due uova e
proseguiamo. Purtroppo dopo altri 27 km la riparazione cede e la gomma è di
nuovo a terra. Decidiamo di tornare indietro dal meccanico, perchè al prossimo
paese mancano più di 100 km. Tornando indietro la tenuta della ruota
posteriore peggiora e Elena insiste perché io vada da solo. La lascio con le
borse ai lati della strada prendendo la posizione sul GPS (001). Fatti 3 o 4
chilometri incrocio un camion verde, lo fermo e gli chiedo se può portarmi la
moto fino a Qonghirat. Mentre parliamo arriva anche un camion arancione Kamas
con a bordo un tipo che ho conosciuto dal meccanico. Tutti insieme carichiamo
la moto sul camion verde, approfittando del greppo al bordo della strada.
Adagiamo la moto sui cartoni da imballaggio che portano. Io vado a bordo del
Kamas. Fatta poca strada carichiamo anche Elena che non si è persa d'animo. Si
viaggia piano e molto sballottati, ma si va. A una trentina di km da Qonghirat
il Kamas finisce il gasolio, mentre il camion verde è già avanti. Dopo qualche
minuto arriva un camion gru, che viaggia con loro e va a prenderci la benzina
al prossimo distributore, dicono che è a 7 km. L'attesa per me è molto lunga,
soprattutto perché la moto è avanti su un camion di sconosciuti. Invece va
tutto bene, arriva il gasolio e ripartiamo. Arrivati al Qonghirat troviamo il
camion verde al posto dell'appuntamento. Lì vicino c'è un gommista geniale,
che fabbrica un attrezzo per svitare le brugole francesi che fissano la ruota
posteriore (la BMW incredibilmente non fornisce la chiave fra gli attrezzi in
dotazione!) e ripara il foro con una toppa vulcanizzata. Mi sembra un lavoro
assai ben fatto e mi costa solo 10000 sume (circa 12000 lire). Elena vuole a
tutti i costi arrivare a Bukhara, perché dice che è molto meglio di Nukus. A
posteriori posso anche capirla. però dopo aver guidato di notte per 130 km
fino a Nukus, con la visiera piena di moscerini e la strada che non sai mai
cosa ti aspetti, la convinco che è molto meglio fermarsi e partire domani
mattina presto. Al Nukus Hotel tuttavia non accettano euro, neanche con le
insistenze e la diplomazia di Elena. Andiamo quindi in un altro albergo, assai
scadente, dove non riescono nemmeno a portarci una birra. Dopo una doccia
dobbiamo quindi brindare con il tè alla soluzione di tutti i problemi della
giornata. Se volevo qualcosa da scrivere sul diario, l'ho avuta.
" Quando ebbono passato in ponente overo il diserto, vennero a una città ch'à nome Baccara, la più grande e la più nobile del paese. " Marco Polo
Per partire alle 5:30 Elena vuol essere svegliata alle 4:30 (you know
girls...) e questo dà il tempo anche a me di fare le cose con calma. Ho anche
il tempo di lavare il parabrezza ed i fari della moto, mentre Elena si fuma
una sigaretta. Partiamo con le prime luci ed è bellissimo. Il sole sorge poco
dopo e si viaggia spediti. Elena si è messa il mio paille ed io la felpa. La
strada sale un po' e ci troviamo su un altopiano desertico sopra la valle di
un grande fiume. Ci fermiamo a vedere il panorama sottostante e non lo
dimenticherò. Poi sulla sinistra ci sono delle yurte nella sabbia che Elena mi
fa notare, ma non ci fermiamo e poi lei mi rimprovera che non la faccio
fumare. Dice che questo deserto è molto più bello di quello del
Karakalpakistan, perché c'è la sabbia. Dopo 550 km arriviamo a Bukhara che è
mezzogiorno e la benzina basta giusta giusta. Andiamo all'albergo da cui gli
altri sono partiti poche ore prima e l'acqua fresca è fantastica. Pranziamo
nella vicina piazza con laghetto ed un gattino viene a mangiare il mio pollo.
Vado da solo a vedere la città perché Elena deve vedere una donna per ridarle
dei soldi. La città ha un fascino di immobilità nello spazio-tempo,
soprattutto le viuzze della città vecchia, ma anche le cupole ed i minareti.
Ci ritroviamo in albergo alle 16 e ripartiamo per Samarcanda. Il paesaggio è
ora molto verde con parecchia acqua e coltivazioni. Arriviamo alle 20
nell'albergo dove sono gli altri e nelle ultime 24 ore da Qonghirat abbiamo
fatto 1000 km. Le accoglienze sono molto calorose ed anche io sono molto
contento di essere di nuovo in gruppo. Si cena al ristorante Marko Polo, senza
Giorgio che ne sceglie uno meno caro (fa lo stesso con l'albergo) e poi a
nanna.
" Samarcan è una nobile cittade, e sonvi cristiani e saracini. " Marco Polo
Alle 7 sono giù a fare colazione e poi mentre Ivano e Renato vanno a riparare
la gomma bucata di Ivano, me ne vado da solo a vedere la città. Comincio dal
complesso del Registan che però è ancora chiuso ed una guardia mi dice che
apre alle 8:30. Mentre aspetto leggendo la guida conosco due fratelli di Navoy
che aspettano anche loro. Lei ha 13 anni e si chiama Shezab lui ne ha 22 e si
chiama Farruk. Chiacchieriamo a gesti ed un po' d'inglese e poi visitiamo il
complesso insieme, così animano le mie foto. E' tutto restaurato molto bene e
sono interessanti le foto di com'era prima. Shezab compra in un negozietto una
vasetto di coccio e me lo regala con grazia (e grazie mie). Ricambio con una
borsetta piatta di seta che le faccio scegliere. Salgo su un minareto con dei
ragazzi inglesi che vanno da Londra alla Mongolia in una vecchia Panda
(underpowered car, dicono). Poi vado alla moschea dov'è sepolto Tamerlano e mi
piace ancora di più, anche perché non ci sono turisti. Cammino ancora per
vedere la statua di Tamerlano, poi torno in albergo a bere. Vado al bazar
principale passando dalle viuzze della città vecchia, compro albicocche secche
e noci e visito la vicina moschea, molto bella. A mezzogiorno ci troviamo con
gli altri in albergo e si parte. Alcuni sono già andati avanti. Elena va sulla
moto di Carlo. Ci fermiamo a mangiare minestra e uova e bere il vino di Dario.
Il paesaggio è mosso e finalmente c'è qualche curva. Alla periferia di
Tashkent troviamo gli altri motociclisti e Fabio, l'invalido che ci ha
preceduto con la sua Panda. In realtà mi sembra validissimo ad aver fatto
tutto il viaggio fin qui da solo. L'arrivo a Tashkent è faticoso, perché Elena
ci fa fare un gran giro che desta le ire di Giampi (e di tutti): nonostante
sia la città in cui vive, mi ha guidato molto meglio nel deserto. Arrivati
finalmente troviamo le altre auto già qui. Troviamo anche Angelo che è
arrivato qui a Tashkent con la sua HP2 in aereo, perché la BMW vuole delle
foto nel Taklamakan. Provo di nuovo a chiamare Anna al suo albergo, ma mi
dicono che non è arrivata (mah...). Ceniamo in albergo e Fabio racconta dei
suoi viaggi. Uso l'Internet dell'albergo per mandare un e-mail a casa. E così
anche Samarcanda è alle spalle.
" --D'ora in avanti sarò io a descrivere le città, -- aveva detto il Kan. -- Tu nei tuoi viaggi verificherai se esistono. -- Ma le città visitate da Marco Polo erano sempre diverse da quelle pensate dall'imperatore. " Italo Calvino
Stamane il mio bucato è asciutto, quindi non devo subire le lamentele di
Michelangelo per stenderlo nella sua preziosissima e perfettissima macchina.
In albergo c'è una insperata colazione, molto buona. Partiamo per Osh verso le
8 con Carlo, Daniele e tutte le auto tranne quella di Ivano, che deve fare una
riparazione. Per nostra fortuna sua moglie Benedetta finalmente decide di non
tornare in Italia e di continuare con noi. Siamo quindi diventati 21. La
strada è molto piacevole e sale lungo un fiume fra i monti. Ci fermiamo varie
volte, anche per pranzare. Poi la strada sale più decisamente ed attraversiamo
un passo a 2200 m con due brevi tunnel. Scesi dall'altra parte, prendiamo una
strada secondaria che, secondo Elena, dovrebbe essere più breve. Nonostante la
zona sia molto popolata abbiamo difficoltà a trovare la benzina a 93 ottani ed
alla fine ci accontentiamo di quella a 80. C'è anche una buffa scena fra
Alessandro ed un distributore che fa di tutto per non vendergli gasolio, ma
deve cedere alla decisione dell'avvocato. Alla frontiera Elena ci lascia e
torna indietro con l'auto della sua agenzia. Sembra veramente tentata a
proseguire con noi, ma il suo lavoro di guida non glielo consente. Le pratiche
sono più veloci del solito, forse per compensarci di quello che ci aspetta
alla prossima ed ultima frontiera. Arriviamo subito ad Osh ed io mi accodo
alle auto alla ricerca di un albergo un po' migliore di quello trovato da
Carlo, ormai plagiato da Giorgio. Lo troviamo, ma il posto è poco e devo
accontentarmi di dormire su un divano. Dopo una doccia vado all'altro albergo
a cercare compagnia per la cena, visto che gli autisti cenano tutti in camera.
Trovo Carlo e Daniele che mangiano anguria con Rebecca, un'americana di San
Francisco, e con Giulia, tedesca cercatrice d'oro, con il suo ragazzo. Mi
aggrego anche io e poi finisco a cena con Rebecca. E' molto interessante e
simpatica: sta girando da sola l'Uzbekistan ed il Kirghizistan alla ricerca
dei pigmenti naturali che danno l'indaco nella pittura su stoffa. Conosce un
po' di uzbeko e di kirghiso che sono utili ordinare la cena e parlare un po'
con i locali. Poi arrivano anche altri del gruppo, che mi prendono in giro
perché abbiamo scelto un tavolo da due. Giorgio viene comunque a mangiare la
mia insalata portando una graditissima bottiglia di vino bianco, ma caldo e si
esibisce in una buffa conversazione in franco-anglo-italiano con Rebecca che è
proprio molto sveglia ed aperta. Dopo cena la porto in moto a fare due passi
fuori città sotto la luna piena.
" Di tutti i cambiamenti di lingua che deve affrontare il viaggiatore in terre lontane, nessuno uguaglia quello che attende nella città di Ipazia, perché non riguarda le parole ma le cose. " Italo Calvino
La proprietaria dell'albergo ci prepara un Nescafè ed un tè graditi.
L'appuntamento all'albergo degli altri è alle 8: siamo tutti pronti davanti
all'albergo alle 8 meno 10 e parto davanti perché so la strada. Già al primo
incrocio perdo gli altri che non sono partiti. Lascio che se la cavino da soli
ed arrivo puntuale all'appuntamento. Gli altri arrivano dopo un quarto d'ora e
mi danno così il tempo di salutare Rebecca. La valle in salita è molto bella
nell'aria pulita del mattino e ci fermiamo a fare varie foto. Abbiamo
appuntamento con Fabio a Sari Tash a mezzogiorno. In realtà lo troviamo prima
che sta cambiando una gomma posteriore che ha bucato. Per arrivare a Sari Tash
c'è un passo di 3600 metri di tornanti sterrati. Scendendo troviamo un camion
di italiani che tornano dal campo base del Monte Lenin. A Sari Tash ci si
presenta davanti una stupenda visione di monti. Alcuni di noi comprano benzina
da dei bidoni: fortunatamente con il mio giga-serbatoio non ho questo
problema. Parcheggio quindi un po' più avanti ed entro nella porta di un
negozio per prendere qualcosa da bere. Dentro ci sono due ragazze che chiudono
la porta a chiave ed una mi chiede di farle delle foto. Ovviamente acconsento;
se ne va nella stanza accanto si toglie il reggiseno e si rimette un corpetto,
forse spera di essere più carina, ma a me la scena sembra molto strana.
Comunque le faccio varie foto di cui non è soddisfatta e tutto finisce lì. Si
prosegue su una strada sterrata su un bellissimo altopiano fiancheggiato dai
monti che abbiamo visto da Sari Tash. Ad un certo punto mi allontano un po'
dalla strada per un bisogno improvviso. Quando riparto non so se sono ultimo o
no. E' ovviamente il momento di bucare di nuovo la mia ruota posteriore ormai
provata e così è. Ormai so che posso proseguire e vado per altri 10 km. Poi la
ruota si sposta da una parte del cerchione e non riesco a continuare. Mi fermo
vicino ad un camion anche lui in panne. Per fortuna poco dopo arrivano Giorgio
e Giampi. Dopo un rapido consulto e qualche imprecazione agli autisti che si
rifiutano di stare dietro sugli sterrati, Giampi va avanti ad avvertire gli
altri e prendere attrezzi e la mia gomma di scorta e Giorgio gentilissimo si
ferma con me. Tenta anche di ripararmi la gomma con la sua attrezzatura di
emergenza. Ripara nuovamente con un tampone la mia vecchia foratura e
cerchiamo di rigonfiare con delle sue bombolette. Ci accorgiamo però che c'è
un altro foro. In quel mentre, dopo un paio d'ore che era partito Giampi (due
ore che non avremmo perso se si fosse rispettata la regola delle auto dietro,
almeno sugli sterrati, conclamatami dallo stesso Michelangelo) arrivano Ivano
e Benedetta che aiutano con del silicone nero ed il compressore. Posso così
proseguire senza grossi problemi fino alla frontiera che gli altri hanno
incredibilmente già passato. Anzi mi dicono che Michelangelo con le mie gomme
di scorta l'aveva già passata quando è arrivato Giampi. Se è vero, come mi
viene confermato, mi sembra assai grave. Comunque passiamo la frontiera
aiutando anche una coppia di ragazzi israeliani (porto lei sulla mia moto
nonostante non mi fidi più della gomma posteriore), che altrimenti dovrebbero
aspettare il giorno dopo. Passata la frontiera troviamo gli altri. Giampi mi
cambia la gomma dietro e tengo la vecchia per emergenza e ricordo: tanto ormai
c'è Rick, la guida cinese che può caricare i bagagli dei motociclisti sulla
sua auto. Giampi ha delle difficoltà a far andare in sede nel cerchione la
gomma nuova, ma è bravissimo e tenace ed alla fine ci riesce con l'aiuto di un
gommista locale. A quel punto il sole è già andato giù. Carlo insiste per
proseguire per Kashgar e l'idea di un buon albergo mi tenta, ma riflettendoci
con calma decido che è molto meglio non guidare di notte, riposarsi subito e
farsi la strada di mattina presto. Con Ivano, Benedetta, Riccardo, Stafania,
Giampi, Daniele, Giorgio, Maurizio e Rick rimaniamo e noi ultimi 5 andiamo nel
peggiore albergo visto finora, mentre gli altri si accampano in macchine e
tenda. Mangiamo il primo cibo cinese, non male, con il cameriere che fa anche
da cavatappi. Il sonno evita di soffrire i disagi del luogo.
" Casciar fue anticamente reame; aguale è al Grande Cane, e adorano Malcomento. Ell'à molte città e castella, e la magiore è Casciar; e sono tra greco e levante. E' vivono di mercatantia e d'arti. Egli ànno begli giardini e vigne e possesioni e bambagie assai; e sonvi molti mercatanti che cercano tutto il mondo. " Marco Polo
La sveglia è terribilmente presto: alle 6 locali, ma abbiamo perso in un botto
due ore di fuso, perché la Cina ha tutta la stessa ora. Alle 6:45 siamo
all'appuntamento con gli altri che dormono ancora: poco male perché è ancora
notte fonda. Partiamo alle 7:30 con le primissime luci ed io porto Rick sulla
mia moto ormai risanata, perché la sua auto è andata ieri sera a Kashgar con
gli altri. La strada scende per una valle molto bella piena di rocce colorate
e frastagliate. Ivano buca una ruota posteriore e la ripara con un tampone.
Arriviamo a Kashgar verso le 11:30 e troviamo gli altri in albergo che si
preparano a partire per la gita al lago Karakul. I preparativi sono lunghi e
faccio in tempo a connettermi al wireless dell'albergo per mandare un mail a
Carla e Pietro. All'ultimo momento Carlo tira fuori un problema con la sua
moto e rimane. Partiamo quindi con Ivano, Benedetta, Alessandro, Vittoria, i
ragazzi, Giorgio, Giampi, Angelo 1 e Angelo 2, Dario e Michelangelo. Gli altri
ci aspettano all'albergo a Kashgar e Carlo dice che sistema la moto e ci
raggiungerà, cosa che poi non farà. La salita si snoda per una bellissima
valle piuttosto stretta, ma con splendide aperture su monti ghiacciati. Su una
di queste mi fermo a fare delle foto ed una donna mi mette sulla moto un
bellissimo coprisella con due tasche laterali di lana di cammello colorata e
tessuta. Tento di resistere ma quando dimezza il prezzo cedo e lo compro: mi
accompagnerà per il resto del viaggio. Gli ultimi 20 chilometri circa sono di
sterrato e, nonostante che avessi avvertito della famosa regola anche Rick,
che è in auto con Michelangelo, gli autisti sono di nuovo davanti, incuranti
degli altri. Mi fermo ad aiutare un ciclista che ha un problema con la sua
telecamera ed in quel mentre arriva Giorgio, che è ultimo e si accorge
fortunatamente che mi è caduta la lente di campo della macchina fotografica.
Evidentemente le vibrazioni devono averla svitata. Poi con Giorgio proseguiamo
e lui ha qualche difficoltà anche perché la sua moto è stracarica di tutto
quello che gli serve per campeggiare. Chissà perché Michelangelo non ha
ripreso il suo ruolo pagato di trasportatore di bagagli, visto che l'auto
cinese è rimasta a Kashgar. La cosa mi fa veramente arrabbiare e quando
raggiungo gli autisti fermi dove ricomincia l'asfalto li rimprovero
aspramente: se dobbiamo rimanere un gruppo bisogna che loro rispettino la
regola di stare dietro di noi sullo sterrato, così come noi li abbiamo
aspettati innumerevoli volte sull'asfalto. Michelangelo ha il coraggio di dire
che questa regola me la sono appena inventata, mentre è stato lui stesso a
dirmi che è una regola fondamentale dei viaggi con Vittorio, anche se è vero
che non sempre Carlo l'ha fatta rispettare. L'arrivo al lago si Karakul a 3200
metri è uno spettacolo e per quanto mi riguarda risolve tutti i problemi: non
così purtroppo per Michelangelo che pretende delle scuse di cui non riesco a
capire il motivo. Anzi penso che finora tutti gli autisti hanno portato i
bagagli dei motociclisti e molti assai più volentieri di lui che storce sempre
il naso. Non si capisce quindi perché lui abbia avuto uno sconto e gli altri
no. Comunque tutto questo non riesce a distrarmi dall'ammirare la bellezza del
posto e me ne vado a fare una passeggiata fra monti, lago, cammelli, pecore e
yurte. Si cena tutti insieme, ma su tavoli separati. Poi a nanna in yurta con
Dario ed Angelo 2. Che vuoi di più dalla vita?
In realtà vorrei una notte tranquilla: mi sono dovuto alzare tre volte per
concimare i dintorni. Comunque nella yurta si dorme benissimo, cullati dai
teli agitati dal vento come generazioni di nomadi. Bevo solo un mezzo
bicchiere di tè, aspetto Giorgio che finisce di smontare la tenda e poi
raggiungiamo gli altri verso sud per arrivare ad un passo a 4080 metri, la
quota più alta del viaggio, unica soddisfazione, perché il Mutzagata è coperto
di nuvole basse. Si torna quindi indietro verso Kashgar, dove arriviamo verso
le 16 dopo aver pranzato per strada. C'è una gran cappa di foschia e
raggiungiamo gli altri in albergo: finalmente una buona doccia. Sono in camera
con Giorgio, che è una persona schietta, gentile e decisa. Faccio un giro
verso la piazza con la moschea di Id-Kahn e nella città vecchia. Alle 20 Carlo
fa un briefing in cui ci dice che c'è un cambiamento di programma: invece che
fare la strada che costeggia il deserto del Taklamakan a nord, prendiamo per
quella a sud, dormiamo a Hotan, poi più avanti ci inoltriamo nel deserto verso
nord, campeggiamo una notte e lo attraversiamo ricongiungendoci alla via nord.
Questo comporta un allungamento di circa 4-500 km. Michelangelo dice che ogni
cambiamento deve essere approvato all'unanimità e che lui non è d'accordo. E'
però l'unico a dichiararsi in disaccordo. Propongo di darci il tempo di
pensarci e di decidere domani. Vado quindi a cena con i 4 del pick-up e
troviamo un posto dove per 1 euro mangiamo e beviamo senza riuscire a finire
tutto quello che ci hanno portato. Poi a nanna.
" Anche le mercanzie che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma come segni d'altre cose. " Italo Calvino
Dormo senza interruzione per 10 ore e mezza, un record da molti anni a questa
parte e lo stomaco migliora. Alle 10 si parte in taxi per vedere il mercato
del bestiame: bellissimo, peccato solo che non ci siano cammelli, ma Rick mi
spiega che in questa zona usano gli asini. Poi con Rick vado a vedere la tomba
di ... e relative moschee. Interessanti le differenze con l'Uzbekistan, ancora
una della tante incarnazioni dell'islam, che ora invece alcuni vogliono unico
e integralista. Poi mangio del melone sui bordi di uno dei laghetti che
servivano per la pulizia dei fedeli e torniamo a piedi verso il mercato
centrale, molto affollato e pittoresco: trovo persino una camera d'aria per la
ruota posteriore e del burro di cacao. Quindi attraversiamo la città vecchia
ed arriviamo nella piazza centrale. Visito la moschea di Id-Kahn, luogo di
pace e preghiera, anche se con qualche turista, anche cinese. Le facce della
gente sono molto miste: solo poche sono cinesi, le altre turche, persiane o
mongole: Se non ci fossero le scritte, non ci si crederebbe in Cina. Rick mi
spiega che in Cina ci sono varie nazionalità: gli han, che sono la maggioranza
(ma non qui), i mongoli, i kazachi, i kirghisi, ecc. Torno in albergo a finire
di lavare e sistemare le mie cose. Con Giampi laviamo anche le moto, perché
dall'albero sotto il quale le abbiamo lasciate degli uccelli le hanno cosparse
di cacche. Giustamente lava un po' anche la sua, che deve arrivare in Italia
bella sporca, perché l'acido della cacca rovinerebbe la vernice. Il
cambiamento di programma è ormai approvato, anche perché Rick mi spiega che
lui ha l'approvazione della polizia proprio per quel percorso. Mentre ceniamo
accanto all'albergo, un fuoristrada cinese, facendo retromarcia, urta con la
sua ruota di scorta il portellone posteriore dell'auto di Ivano, che prende
una bella ammaccatura e non si apre più. Non c'è Rick e comincia una lunga
discussione, perché il proprietario, che risulta essere un militare, vuole
dare solo 50 euro, e nessuno degli intervenuti locali osa contraddirlo. Mentre
mi affanno invano alle receptions dei due alberghi perché chiamino la polizia,
arriva Rick e portano l'auto di Ivano a riparare. Stanno via a lungo ed ad un
certo punto, dopo aver masterizzato tre DVD con le foto di Giampi, vado a
dormire, aspettando l'indomani per sapere com'è andata a finire.
Foto,
Torna all'indice
" Se per otto ore al giorno tu lavori come tagliatore d'agate onici crisopazi, la tua fatica che dà forma al desiderio prende dal desiderio la sua forma. " Italo Calvino
Giornata di lungo trasferimento lungo il margine sud del Taklamakan,
illuminata dalla visita a Hotan, vecchia città lungo la via della seta, che
conserva un attivo artigianato di teppeti, seta e giada. Quest'ultima perché
si trova lungo un fiume che è ricco di questa pietra. Arriviamo ad Hotan verso
mezzogiorno e visitiamo un laboratorio di giada, uno di tappeti ed uno per la
lavorazione della seta. Compro anche qualche regalo a prezzi che mi sembrano
già molto convenienti e quindi non contratto più di tanto. Nel pomeriggio si
prosegue verso est con la strada spolverata dalla sabbia spinta dal vento. Con
Angelo siamo avanti. Ad un certo punto ci fermiamo ad aspettare gli altri e
non ci accorgiamo che le auto ci hanno superato. Quindi Carlo e Maurizio si
fermano ad aspettarli. Noi proseguiamo e solo arrivando a Minfeng verso le 20
ritroviamo tutti gli altri, tranne appunto Carlo e Maurizio, che chiamiamo
subito al telefono. Con Rick si decide di fermarsi in albergo qui, invece di
andare a passare la notte nel deserto. Ceno con Fabio e Giorgio con una
buonissima pasta saltata in un sugo di verdure e carne, poi il sonno mi
abbatte.
" Irene è la città che si vede a sporgersi dal ciglio dell'altipiano nell'ora che le luci s'accendono e per l'aria limpida si distingue laggiù in fondo la rosa dell'abitato. " Italo Calvino
Grande giornata di attraversamento del Taklamakan. Sveglia alle 6:30 e
partenza verso le 7:45. Cominciamo con l'attraversare alcuni corsi d'acqua che
costeggiano il deserto e poi ne vengono assorbiti. Mi piace questa lotta fra
gli elementi. Comunque la sabbia alla fine ha il sopravvento: va avanti per
500 km, lungo la dimensione più corta del deserto (l'altra è di 1500 km). La
mattina è molto fosca, un po' per le nuvole, un po' per la polvere del deserto
sollevata dal vento onnipresente. La sabbia è bionda, calda e piena di dolci
curve sempre diverse. La strada è perfetta. Temevano lingue di sabbia portata
dal vento, ma i cinesi hanno istallato migliaia di km di tubi da irrigazione
goccia a goccia lungo la strada, che hanno fatto crescere dei cespugli che
parano vento e sabbia. Ogni 5 km c'è la casa di un giardiniere, che vive lì
con la moglie e provvede alla manutenzione. Mi piacerebbe passare almeno un
mese in una di quelle casette e svegliarmi tutte le mattine con il deserto
negli occhi e nella testa. Con l'andare del giorno e dei chilometri la foschia
diminuisce e la luce migliora. Con Angelo troviamo una strada laterale ed
andiamo a fare delle foto per la BMW. C'è un generatore e passano dei grossi
camion con gomme da sabbia verso un deposito di carburante. A metà deserto c'è
un distributore e ci fermiamo tutti a far benzina (il mio serbatoio di 33
litri mi consentirebbe comunque comodamente di attraversare tutto il deserto)
ed a mangiare riso alle verdure. Il deserto finisce con i fiumi che riprendono
il sopravvento dall'altra parte. Arriviamo a Korla, città petrolifera in cui
di bello ci sono solo gli alberghi. Dopo un bel bagno vado a cena con la
famiglia di Alessandro e con i magnifici quattro del pick-up e finiamo in un
Kentucky Fried Chicken. In effetti questa città, che vive sui petrodollari,
sembra quasi americana con i suoi palazzoni le sue luci multicolori e le sue
larghe strade pulite: un altro mondo, non solo rispetto al deserto, ma anche a
tutto il resto.
Colazione alle 8, una pacchia, peccato che ci sia solo roba cinese, niente
caffè, niente pane, niente marmellata, per fortuna c'è l'anguria. Il pagamento
dell'albergo avviene sempre attraverso Rick e non viene rilasciata nessuna
ricevuta. Inoltre le receptionists dell'albergo non parlano inglese, cosa
abbastanza strana, per un buon albergo in una città piena di compagnie
petrolifere occidentali. Ci sono molte lamentele su come Rick conduce la
scelta ed il pagamento degli alberghi. Ora non abbiamo più cassa comune a
causa dei disguidi passati. Quindi ciascuno potrebbe benissimo pagarsi
l'albergo da solo direttamente alla reception. Infine, mentre tutti siamo
pronti a partire, Rick rimane ancora a parlare alla reception. Cos'avranno da
dirsi visto che stiamo partendo? Appena partiti imbocchiamo un'autostrada, con
la solita manfrina che le moto non pagano e passano a lato del casello. Poi il
primo distributore è chiuso, quindi Rick per fare benzina ci fa uscire
dall'autostrada e troviamo un distributore a meno di un chilometro. Poi,
invece di tornare indietro al casello per riprendere l'autostrada, Rick
prosegue sulla strada normale, che però è piena di avvallamenti e ci costringe
ad andare molto piano. Chiedo a Rick di tornare sull'autostrada e quando dopo
una quindicina di chilometri c'è un altro casello, la polizia di controllo
dice che noi motociclisti non possiamo entrare in autostrada. Se tanto bene
Rick ci faceva rientrare dal casello da cui siamo usciti, lì ci avrebbero
fatto rientrare sicuramente. Ci viene il sospetto che Rick voglia risparmiare
sui costi dell'autostrada. Comunque, dopo una serie di raccomandazioni la
polizia ci fa passare. L'autostrada fa un passo sui 1700 metri e poi piomba
giù nella piana di Turpan, dove c'è un gran vento. Prima ci soffia contro e
non crea grandi problemi. Quando ad un bivio giriamo a destra, ci viene di
lato portando polvere e sabbia. Ho la malaugurata idea di fermarmi a
rimettermi il casco che mi ero tolto per il caldo. Il vento laterale mi
sorprende, sbilancia la moto e non riesco a tenerla per cui mi cade da fermo.
Subito esce un fiotto di benzina dal serbatoio. E' il tappo che evidentemente
non ho richiuso bene all'ultimo rifornimento, per cui basta una botta per
fermare la perdita di benzina. Nel frattempo arrivano Giampi e Giorgio che si
fermano. Giorgio è subito in difficoltà e vado ad aiutarlo. Intanto Giampi con
un altro mi rialzano la moto mentre io vado a riprendere il coprisella che è
volato via. Mettiamo le moto contro vento e vediamo il da farsi. Siamo
Daniele, Giampi, Giorgio, Carlo ed io. Carlo riparte senza troppe difficoltà.
Mentre cerchiamo di convincere Daniele a ripartire, arriva il Land Rover di
Riccardo e Daniele riparte riparato da lui. Poi arriva Alessandro che mi
ripara e riparto anche io. Si va bene sui 40 all'ora, ma poco dopo tento la
sortita e vedo che con attenzione si può andare da soli. Il problema è
l'incrocio con i camion che provoca una forte variazione di vento. Comunque ce
la caviamo tutti ed arriviamo a Turpan, un oasi in una depressione ventosa e
caldissima. Il termometro arriva a 40 gradi, ma si sopporta bene perché è
secco e c'è vento. Ci sistemiamo in un albergo piacevole ed alcuni vanno in un
albergo accanto meno caro. Con i Coluzzi andiamo a cambiare soldi in una banca
e poi a vedere una moschea con un bel minareto ed una loggia sopra l'ingresso,
molto piacevole e panoramica. Ci avviamo quindi a visitare il sistema di
irrigazione, ma giriamo a sinistra troppo presto e ci troviamo in mezzo alle
vigne, interessanti, ma senza mostra di irrigazione. Decidiamo che ne abbiamo
comunque avuto abbastanza e torniamo in albergo anche perché lì Giampi mi sta
aspettando per scaricare le foto. In realtà sta discutendo con Carlo sui
soliti argomenti e decidiamo di rimandare lo scarico delle foto. Questo
albergo, dove saremmo dovuti restare due giorni, come da programma e per fare
il nuovo visto, in realtà ci può ospitare una sola notte, perché poi è pieno.
Rick incredibilmente se ne accorge solo ora e si decide quindi di partire
domani mattina, fare delle visite nei dintorni ed andare a dormire alla vicina
Shanshan. Con Angelo ed i Coluzzi andiamo a cenare in un fast food, neanche
male, poi a nanna.
" Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. " Italo Calvino
Dormo così bene che non sento la mia sveglia alle 7, solo quella dell'albergo
alle 7:30. Si parte per la antica città di fango di Gaochang. Non è gran che,
ma pittoresca, con una moschea di cui si vedono le basi della cupola. La città
è un quadrilatero con circa due chilometri di lato. Ci sono gli asini taxi,
molto popolari fra i turisti cinesi, ma vado a piedi. Poi andiamo a vedere la
necropoli di Astana con interessanti tombe sotterranee dipinte. Le visite
finiscono con le grotte dei mille Budda di Bezeklik, molto saccheggiate da
archeologi tedeschi e danneggiate dai maoisti. Rimangono comunque alcuni vani
di preghiera, scavati nella montagna, con antichi dipinti assai interessanti,
che purtroppo non mi lasciano fotografare. Il paesaggio circostante è
bellissimo, una valle fra le "montagne fiammeggianti", veramente di un colore
rosso fuoco. Salgo per un pendio a vedere la vista dall'alto, molto bella, e
poi scendo a balzelloni, facilitato dagli stivali da moto. Poi Angelo si
esibisce in una gran salita con l'HP2. Non riesce ad arrivare in cima perché
rallentato da due turiste, ma è bravo a trarsi d'impaccio e poi fa varie
evoluzioni molto fotografate. Anche Giampi fa delle belle evoluzioni con la
sua KTM, per la gioia nostra e dei turisti presenti. Ci mettiamo quindi in
strada per Shanshan, dove arriviamo verso le 15:30 dopo un pranzo in un
ristorante locale. Ho compiuto i 10000 km di viaggio e decido di festeggiare
con un massaggio in albergo. Me lo fa JuanZi, che è veramente molto abile e mi
rilassa moltissimo. Si accorge che sono molto teso nell'avambraccio destro e
le spiego che è per via dell'acceleratore della moto. Poi la porto a fare un
giro in moto ed andiamo a bere un CocaCola. Le chiedo se c'è Internet in
albergo e mi porta accanto in una grande sala con centinaia di computer e di
persone. Usa la sua password per farmi collegare e poi rimane a guardarmi
molto interessata mentre mando un e-mail. Tornato in albergo masterizziamo un
DVD con Giampi, che però è piuttosto arrabbiato e parla di abbandonare il
gruppo e tornarsene in Italia. Speriamo che la notte gli faccia cambiare idea.
Porto fuori a cena JuanZi chiedendole di farmi mangiare cibo cinese.
Giustamente mi chiede quale, ma non so cosa dire. Comunque vicino all'albergo
ci sono molti ristorantini locali e ne sceglie uno. Invitiamo ad unirsi a noi
Giorgio, che è lì vicino e questo aiuta la conversazione, almeno per me.
Prediamo degli spiedini piuttosto forti, un'insalata e poi del pollo alla
brace. JuanZi è molto gentile e cerca di soddisfare ogni nostra richiesta.
Evidentemente lei non ha molta fame e le do il mio iPod, che la interessa
moltissimo, prima per guardare le foto, poi per ascoltare musica. E' una
ragazza in gamba e mi dà un'idea dell'ospitalità cinese e di come la donna qui
si comporta con gli uomini, facendoli sentire a proprio agio. La serata si
conclude con scambi di indirizzi e-mail e saluti.
" Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana di un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti. " Italo Calvino
Sveglia alle 6:30, colazione in albergo (con pane e marmellata!) e partenza
verso le 8. Grande trasferimento verso Dunhuang, dove però gli alberghi sono
pieni e ripieghiamo quindi verso la vicina Anxi. Il paesaggio è piuttosto
bello ed ampissimo, difficile da fotografare. Per fortuna noi motociclisti
possiamo andare avanti e viaggiare così più in libertà. Pranziamo con i soliti
spaghetti con sugo di verdure e carne. Arriviamo ad Anxi verso le 18 in un
albergo né bene né male e ci prepariamo a festeggiare Vittorio che compie gli
anni, prendendo alcune bottiglie di vino. Vittorio ci offre la cena nel
ristorante dell'albergo ed è molto piacevole. Rick offre i dolci, di cui uno
con le candeline, molto fotografato assieme al festeggiato.
" D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. " Italo Calvino
Giornata di grandi visite. Cominciamo con le grotte di Mogao, che distano un
centinaio di km. A metà strada ci fermiamo a vedere una torre di avvistamento
a tronco di piramide ottagonale. Sulla sinistra ci sono delle belle montagne
frastagliate. che verso Dunhuang sfumano in dune di sabbia. Naturalmente
Carlo, che è davanti con Maurizio ed Angelo, va dritto all'ultimo bivio, dove
peraltro è ben indicato in inglese di svoltare a sinistra. Il sito delle
grotte è un'ampia valle con alberi con a destra un costone roccioso alto una
cinquantina di metri, che è traforato da centinaia di grotte artificiali,
tutte dipinte e con statue, scavate fra il 400 ed il 1000. Hanno avuto la
fortuna di essere ricoperte dalla sabbia, che le ha protette dai predoni e
dalle intemperie. Sono state riscoperte un secolo fa da un monaco, che a
dedicato la vita a scavarle, e poi, quando sono venuti fuori importanti
manoscritti, anche da archeologi occidentali. Ne visitiamo una decina con una
guida cinese, molto gentile, e, nonostante che non si capisca niente, trovo
che è uno sfondo sonoro molto adatto. Gli affreschi sono molto belli,
interessanti e molto diversi fra loro. Altrettanto le statue che rappresentano
Buddha, con la pelle scura, in quanto indiano, e vari personaggi cinesi con la
pelle chiara. In una grotta aperta sul davanti, ma protetta da un edificio a
pagode, c'è una statua di Budda alta 34 metri, veramente impressionante. In
un'altra c'è un Buddha steso ed eccezionalmente magro. Purtroppo non si
possono fare foto ed ho dovuto lasciare la macchina fotografica all'ingresso.
Mi rifaccio in un edificio dove hanno ricostruito alcune grotte. Dopo pranzo
proseguiamo per le dune di Mingsha Shan, dove ti fanno entrare pagando un
biglietto. Me ne vado da solo a vedere i laghi Yueya Quan e salgo sulle dune
prima per una scala di legno, poi finalmente per i fatti miei, facendo un
dislivello di 250 metri ed arrivando dove non si vede altro che dune. Trovo un
cappellino rosso, preda di guerra, e finalmente soddisfatto torno indietro
facendo una delle discese a balzelloni più lunghe e più belle che ricordi.
Altri sono andati in trenino, in Quod e in deltaplano a motore. Finiamo con la
visita all'"Antica città di Dunhuang" set cinematografico dove hanno
ricostruito una vecchia città cinese. E' tutto falso, ma alcune cose sono ben
fatte. Torno in albergo a Anxi, viaggiando da solo veloce, la moto si è un po'
stufata delle andature lente prevalenti. A cena con Vittorio ci scambiamo una
mostra di foto.
" Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti. " Italo Calvino
Per qualche strano motivo ho perso questo giorno di diario, pur essendo quasi
sicuro di averlo scritto. Comunque siamo andati da Anxi a Jiayuguan, dove
abbiamo visitato il forte, avamposto della grande muraglia verso ovest. Ho
attraversato tutto il forte uscendo dalla parte opposta a vedere se c'erano i
mongoli...
" Quando l'uomo si parte de Gobia, l'uomo va bene per uno diserto 8 giornate, nel quale à grande sechitadi, e non v'à frutti né acqua, se non amara. " Marco Polo
Il programma della giornata prevede di arrivare solo fino a Zhangye a 210 km,
dove c'è da vedere un grande Buddha sdraiato. Dico sia a Rick che a Carlo che
mi sembra meglio arrivare fino a Xining, per recuperare sul programma,
rispetto al quale siamo in ritardo: lettera morta, evidentemente il programma
non è materia di discussione e al diavolo il viaggio autogestito. In effetti,
anche facendo la strada normale che attraversa tutti i paesini ed evitando
accuratamente la bellissima e nuovissima autostrada (che Rick voglia
risparmiare il pedaggio?), arriviamo a Zhangye alle 12:30. La strada scorre
fra belle montagne a destra (quelle che avremmo dovuto attraversare secondo il
programma) e le ultime propaggini meridionali del deserto di Gobi a sinistra.
Visitiamo il Buddha disteso, purtroppo in restauro, ed il vicino stupa molto
bello e poi ci sono 7 ore da aspettare, che ci avrebbero sicuramente
consentito di arrivare a Xining. Interpello Carlo al riguardo e mi dice che
tutti gli altri sono contrari. Viene subito smentito da Vittorio che mi dice
che anche lui avrebbe proseguito. Comunque mi organizzo per godermi anche
questa attesa. Per cominciare con Angelo andiamo a pranzare nella strada dei
ristoranti Ming. Poi me ne vado a visitare tutte le altre cose che ci sono da
vedere: la torre ottagonale di legno del VI secolo, però distrutta da un
incendio e ricostruita nel '900, parzialmente in cemento, un piccolo e
pacifico tempio buddista, dove mi abbandono all'atmosfera serena ed incensata.
Infine sto cercando un monastero taoista, quando vengo chiamato da tre ragazze
in un negozio, tipo parrucchiere. Una di loro mi fa uno shampoo con massaggio
alla testa, poi mi porta in una stanza sul retro per massaggiarmi il resto del
corpo. E' un po' diverso da quello dell'altro giorno, ma ugualmente piacevole
e rilassante. Alla fine mi offre ulteriori prestazioni di una delle altre due.
Inizia un buffo baratto. Lei vuole 300 yuan, io cerco di spiegare che per
certe cose non pago, lei scende a fino a 100 yuan, ma ci tengo a mantenere la
mia "verginità". Alla fine per compensarla dalla delusione la invito a cena e
le dò appuntamento alle 21. Torno in albergo a farmi una doccia senza aver
trovato il monastero, ma attraversando un quartiere di condomini, molto
sereno. Da una finestra una ragazza sta suonando un violino. Al briefing delle
20:30 Carlo ci dice che la polizia vuole toglierci il visto perché siamo
indisciplinati e che dovremo proseguire scortati direttamente fino a Pechino.
Nessuno gli crede, anzi chiedo spiegazioni su come vengono decise le modifiche
al programma. Salta fuori che Rick non sa nemmeno del nostro programma, che
Fabio ha passato del tempo a preparare su richiesta di Vittorio. Gli chiedo
quindi di farci conoscere il programma fino a Pechino. Con qualche riluttanza
fornisce alcuni dettagli, da cui risulta chiaro che ha una certa libertà di
scelta, sia sul dove fermarsi, sia sui percorsi da scegliere. Comunque arrivo
in moto un po' in ritardo all'appuntamento per cena. C'è solo la terza
ragazza, che mi fa subito capire che hanno ritrovato il mio iPod, che mi sono
appena accorto di aver perso, e che le altre arriveranno presto. Aspetto ed
arriva la ragazza del massaggio, che mi ridà subito l'iPod. Aspettiamo ancora
un po' che arrivi quella che ho invitato a cena. Poi, visto che non arriva,
dico alla ragazza del massaggio se vuole venire lei a cena. Lei si cambia e
partiamo. Ha l'aria di non essere mai salita su una moto, e sì che qui ce ne
sono tante. La porto nella strada dei ristoranti Ming, ormai sono esperto. La
cena, praticamente muta, è però molto piacevole. Lei con molta grazia mi
prepara addirittura i bocconi ripulendoli da quello che ritiene non adatto.
Nonostante che non le piaccia la birra, insiste per brindare ripetutamente con
me e poi tossisce ogni volta. Mangia pochissimo, ma si preoccupa che io invece
mangi molto. Alla fine è molto contenta di poter portare gli avanzi alle sue
amiche. Mi domando come ha fatto questa cultura a far avere alla donna una
posizione centrale nella maggior parte delle attività (agricoltura, commercio,
ristorazione, alberghi, ecc.), eppure così servizievole verso l'uomo. Certo
qui gli uomini sono molto meno interessanti delle donne. Per finire pago meno
della metà di quello che avevamo pagato a pranzo con Angelo nello stesso
ristorante ordinando la stessa quantità di cose. La riporto in moto al suo
negozio e ci troviamo anche quella che avevo invitato a cena, che è un po'
delusa, ma perdona presto sia la sua amica sia me. Con difficoltà riesco a
farmi scrivere il loro indirizzo per poter mandar loro le foto e ci salutiamo.
Insomma, anche la sosta forzata a Zhangye non è stata poi così male.
" ... quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza " Italo Calvino
Se volevo una strada di montagna l'ho avuta. Partiamo con una dolce salita per
una piana molto fertile e coltivata, che sale fino a 2700 metri con alberi e
coltivazioni che da noi sono da pianura. Poi la strada si addentra in una
valle molto bella ed arriviamo ad un primo passo di 3700 metri. Poco dopo ce
ne è un secondo a 3800 metri. Poi la strada, sempre molto buona scende e ci
fermiamo in un paese per pranzo. Ne approfitto per aggiungere un po' d'olio,
che era quasi al minimo. Siamo ad un'ottantina di chilometri da Xining, nostra
meta, ma purtroppo le strada buona è interrotta e dobbiamo fare una deviazione
assai più lunga e quasi tutta sterrata. Il paesaggio è comunque molto bello e
si sale ad un passo di 3800 metri, con varie soste per foto. Scesi dall'altra
parte arriviamo a Xining che sono passate le sette di sera, ma qui ci fermiamo
due notti. C'è un po' di maretta per i cambi di programma che ci portano sui
passi sterrati ed ovvi contrasti fra chi vuol risparmiare i mezzi e fare la
strada migliore e chi, pur di vedere cose interessanti, è disposto a
deviazioni che allungano il percorso. Io sono preso dalla fame e vado a cena
con quelli del pick-up che sono i primi ad andare. Dopo un blando tentativo di
trovare un ristorante fuori ceniamo in albergo.
Oggi è la giornata dedicata alla gita al lago Qinghai Hu, il più grande lago
della Cina a 3200 metri d'altezza e lungo più di 100 km. C'è chi non parte
nemmeno (Daniele) e chi poi si ferma per strada. La giornata è nuvolosa e
l'auto di Rick ci porta fuori città. Poi con Angelo andiamo avanti. Prima la
strada attraversa vari paesini ed è lenta, poi comincia un'autostrada
obbligatoria che possiamo fare anche noi motociclisti. Questa fa un passo a
3450 metri e poi scende verso la piana del lago. Al paese dove finisce
l'autostrada, a circa 20 km dal lago, Angelo si ferma ad aspettare gli altri,
quindi proseguo da solo. Poco dopo inizia a piovere e mi metto per la prima
volta in questo viaggio la tuta da pioggia ed i guanti pesanti. La temperatura
si abbassa fino a 7 gradi, ma grazie alla moto ed ai vestiti non sento freddo
e proseguo ottimamente. Costeggio il lato sud del lago per un centinaio di
chilometri, fra vari scrosci di pioggia e schiarite che danno belle luci al
lago verde smeraldo, coperto di ochette. Arrivo ad Heimahe verso mezzogiorno e
mezza e mi fermo ad un ristorantino. Dentro ci sono tre ragazzini che fanno
compiti incomprensibili. Mi portano un ottimo pesce del lago in umido con una
salsa al pepe. Riparto verso le 13:30 per tornare indietro, ma di uccelli, che
pare siano l'attrattiva del lago, nemmeno l'ombra. Non piove più ed i colori
sono sempre bellissimi; la pioggia ha pulito l'aria e si vede la sponda
opposta del lago. Mi fermo in un posto turistico cinese da dove partono dei
battelli, che portano presumibilmente alla famosa isola degli uccelli, ma non
credo che sia la giornata giusta. Tornando a Xining, proseguo sull'autostrada
oltre il consentito ed al casello vogliono farmi pagare il pedaggio, cosa
strana visto che per le moto l'autostrada è proibita e quindi non c'è un
pedaggio previsto. Chiedo una ricevuta e, mentre confabulano al riguardo, me
ne vado per i fatti miei. Tornato in albergo, mi cambio e poi vado in taxi a
visitare il tempio taoista Beishan Si, suggestivo soprattutto per la salita,
lo stupa in cima e la vista. Poi vedo anche la grande moschea, piuttosto
deludente. La cena con Angelo, Maurizio, Carlo, Rick e l'autista è buona e
piacevole e si conclude con un brindisi alla grappa locale.
" L'altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e che non avrà. " Italo Calvino
"
Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli
intervalli. Sospesa sull'abisso, la vita degli abitanti d'Ottavia è meno
incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.
"
Italo Calvino
Lasciamo l'albergo di Xining, diretti a Ta'er Si per visitare il monastero
buddista tibetano Kumbum, ed è come entrare in un altro mondo. Un mondo di
culto multiforme e tollerante, in cui anche i monaci sembrano fare una bella
vita, simboleggiato dalla miriade di templi e stupa grandi e piccoli che si
snoda lungo una valletta. C'è molta gente, un misto di turisti e fedeli con
qualche raro turista occidentale. A questo proposito devo dire che Avventure
nel mondo ci ha veramente organizzato un viaggio "primizia", infatti nella
maggior parte dei posti dove siamo stati di turisti occidentali non se ne è
vista nemmeno l'ombra. Ci sono molti monaci (la setta dei cappelli gialli) ed
anche loro danno l'impressione di una religione tollerante e multiforme, con
qualche caduta di stile, a sentire Vittorio, che è stato portato in una cella
da un monaco, che poi voleva tirargli giù i pantaloni. Alla fine ci ritroviamo
tutti al parcheggio e ripartiamo. Io sono ultimo, perché ho dovuto sistemare
uno yogurtino che mi si è rotto. Mentre mi preparo a partire sento un gran
trambusto poco più avanti e vedo Giorgio che sbraita circondato da un mucchio
di gente finché la sua moto cade. Vado subito ad aiutarlo a rialzarla e lui
grida contro il parcheggiatore che gli ha messo le mani nel portafoglio. Torno
di corsa alla moto e prendo la macchina fotografica con cui comincio a
scattare foto ai presenti e questo stratagemma li fa allontanare. Nel
frattempo arriva un'auto della polizia e ci possiamo allontanare senza
ulteriori danni e raggiungiamo gli altri. Ripassiamo da Xining e proseguiamo
verso est lungo la strada per Lanzhou. Ci fermiamo per pranzare e subito dopo
svoltiamo a destra verso le montagne su una bella strada che sale fra campi
coltivati e monti verdi e vellutati. Arriviamo ad un passo a 3650 metri con i
soliti colorati simboli di preghiera e Giorgio non arriva. Gli mando due sms e
poi sapremo che al bivio dopo mangiato è andato dritto e si spera di rivederlo
domani a Labrang. Dal passo la strada scende per una bellissima strada lungo
una gola di un affluente del fiume Giallo. Alcun autisti si fanno beccare da
una macchina della polizia con autovelox e per 100 o 200 yuan si portano a
casa una bella foto della propria auto con scritte in cinese. Arriviamo a
Xunhua che sono le 17 e Rick va a prenotare un albergo e poi proseguiamo verso
un parco prima che sia buio lungo un'altra bellissima strada per una gola del
fiume Giallo che qui ha già moltissima acqua e scende in rapide. Arriviamo al
parco su una valle laterale che sono già quasi le 19, anche perché Rick gioca
a nascondino. E' troppo tardi per vedere il parco e decidiamo di tornare a
Xunhua, contenti comunque della bellissima strada. Ci fermiamo anche su un
ponte "matto" di funi di ferro e tavole, che noi motociclisti attraversiamo
molto fotografati. All'albergo c'è un buon ristorante, ma siccome è musulmano
non danno alcolici e non accettano nemmeno le birre che ho comprato fuori.
Quindi con Angelo andiamo a mangiare da un'altra parte.
Foto,
Torna all'indice
Si parte alle 7:30 verso il monastero di Labrang. Ci sono 130 km e, tanto per
cambiare, bisogna passare delle montagne. Salendo Rick si addentra in una
valle sbagliata e dobbiamo tornare indietro per una decina di km, ma è molto
bella e ne vale la pena. Dopo un passo a 3450 metri arriviamo ad un altopiano
a 3000 m, molto simile alla piana di Castelluccio di Norcia. In discesa ci
sono un trentina di chilometri di sterrato che rallentano l'andatura, per cui
arriviamo a Labrang che è passato mezzogiorno. Pranziamo e per fortuna, preso
da sacro furore culturale, vado prima degli altri al monastero e parcheggio la
moto di fronte ad un tempio dove vedo l'auto dei Coluzzi, che hanno mangiato
in macchina. Entro e nel cortile interno trovo i Coluzzi fra un mare di
stivali neri. Sono di 2 o 300 monaci che sono all'interno del tempio a pregare
e bere tè con burro di yak. Li vedo da fuori che cantano seduti in file. Poi,
guidati da un monaco capo, escono tutti di corsa e rimettersi gli stivali. E'
una scena molto suggestiva che ho la fortuna di fotografare. Continuiamo la
visita vedendo altri templi, dove c'è gente che prega inanellando giri intorno
al tempio, rigorosamente in senso orario. Arriviamo così all'altro lato del
monastero lungo circa 1500 metri. Poi torno indietro lungo il fiume
costeggiando una serie infinita di tamburi girevoli che i fedeli fanno girare
producendo cigolii e suoni di campanelle. Ripartiamo verso est alle 15 passate
per una larga valle in discesa. Con Angelo siamo davanti e ci fermiamo ad
aspettare gli altri all'ingresso di Linxia. Finalmente vediamo che poco dietro
di noi si è fermato Rick con Daniele, Giorgio e Alessandro, perché ha saputo
al telefono che Maurizio e Giampi sono caduti e c'è un problema con la moto di
Carlo. Dopo un po' arriva il pick up che ci racconta che Maurizio è caduto
sull'asfalto liquido della strada nuova e si è fatto un po' male ad un piede,
che Loredano ha medicato, E Giampi, fermatosi per aiutarlo, è scivolato da
fermo e caduto anche lui. Poi la moto di Carlo si è improvvisamente fermata
per un problema elettrico e non riparte. Rick decide allora di portarci ad un
albergo a Linxia per poi tornare indietro ad aiutare gli altri. Mentre ci
sistemiamo nello squallido albergo, arrivano anche gli altri, perché Giampi è
riuscito a sistemare la moto di Carlo. Dopo la doccia senza asciugamano, vado
a fare un giro a piedi e c'è ben poco di interessante da vedere, se non la
vita locale. Ceniamo al ristorante dell'albergo, decisamente la cosa migliore
che hanno, e ci beviamo una bottiglia di vino di Zhangye.
" Kublai Kan s'era accorto che le città di Marco Polo s'assomigliavano, come se il passaggio dall'una all'altra non implicasse un viaggio ma uno scambio d'elementi. " Italo Calvino
Comincia a piovere poco dopo la partenza e non smette tutto il giorno. Anche
la tuta da pioggia non regge e alla sera ho asciutto solo un piede. Comunque
dovevo vedere anche la Cina sotto la pioggia, con le nebbie sui terrazzamenti
e le strade piene di fango. Lascio a riposo la macchina fotografica, già un
po' ammaccata. La tiro fuori solo per pranzo per fotografare la simpatica
cuoca e le sue cameriere, che ci danno un ottimo lesso. Stiamo in moto per più
di 15 ore, soprattutto per i problemi che la pioggia crea alle strade.
Cominciano su un ponte sulla ferrovia, ancora sterrato, che è incredibilmente
bloccato da un camion che cambia una ruota in mezzo alla strada perché ha
paura che i lati cedano per la pioggia. Si passerebbe di fianco a lui, ma
ormai una coda di camion incrociati ha bloccato tutto e non riusciamo a
passare nemmeno con la moto. Con Maurizio notiamo una stradina asfaltata che
corre accanto alla ferrovia. Torniamo indietro e troviamo un imbocco
dall'altra parte con un ponte sulla ferrovia. Facendo la stradina
infangatissima che segue, ad un incrocio sono incerto su dove andare e non mi
accorgo che il fondo è viscidissimo e la moto mi cade praticamente da fermo,
niente di grave, come le altre volte. Superato così questo ostacolo, dopo un
sottopasso con 20 cm di acqua, sulla montagna a destra é scavato un enorme
Buddha fra vari templi. Verso le 19, quando ormai siamo a 30 km da Tianshui,
nostra meta, ci blocca un sottopasso allagato sotto un torrente, che ha rotto
gli argini a monte ed è tracimato sulla strada riempiendola di acqua e fango e
bloccando un auto che ha l'acqua ai finestrini. Angelo cerca invano di passare
di sopra e di sotto. Solo il Pajero Sport di Rick riesce a passare per un pelo
con l'acqua sopra il cofano. Rick ha saputo che sono in arrivo due ruspe e ci
mettiamo ad aspettare sotto la pioggia ed ormai al buio. Le ruspe arrivano
alla 20:30 accompagnate da un autobus di spalatori e tutti cominciano a
lavorare efficientemente, le ruspe sulla strada e gli spalatori sugli argini a
monte. Comunque ora che finiscono e possiamo ripartire sono le 23 e così
arriviamo in albergo che è quasi mezzanotte. Dopo la doccia con Maurizio
abbiamo ancora la forza di andarci a cercare una cena e troviamo una taverna
ancora aperta.
Anche stamane piove, quindi mi rimetto i vestiti bagnati. Il gruppo si divide
in due: quelli che vogliono vedere le grotte di Maji Shan (i Coluzzi, il
pick-up ed io) e gli altri. Partiamo tutti insieme, poi dopo una ventina di km
Rick ci indica un bivio a destra e saliamo per un valle fino ad un monte a pan
di zucchero traforato da grotte e coperto da statue. Mentre ci prepariamo alla
visita comprando impermeabili ed ombrelli, arrivano Carlo, Rick, Angelo ed il
Land Rover, che dicono che la strada è bloccata da camion e ci vorrà del tempo
perché la riaprano. Anche con la pioggia e nebbie sparse lo spettacolo è
eccezionale. Si sale lungo una parete aggettante per una serie di scale di
cemento a vedere una miriade di buchi nella roccia con statue ed affreschi.
Alcune statue più grandi sono esposte all'esterno. Non ci perdiamo nulla e,
terminata la visita, pranziamo ad un ristorante. Nel frattempo il blocco si va
esaurendo e quando ci arriviamo, grazie anche ad una piccola deviazione
indicata da un locale, passiamo senza troppe difficoltà. La strada va lungo un
fiume rapido e fangoso e, a parte l'attenzione per i sassi caduti, non ci crea
grossi problemi. Anche la pioggia non è insistente come ieri e si va
esaurendo. A Baoji, anche se sono già le 18:30, decidiamo di continuare fino a
Xian, dove grazie all'autostrada, che prendiamo anche noi motociclisti,
arriviamo alle 20:15. Xian è una grande e moderna città ed ora che troviamo
l'albergo e ci facciamo una doccia sono le 22. Vado a cenare con Angelo,
Carlo, Rick e l'autista, tipo buffo ed enigmatico.
" Non c'è città più di Eusapia propensa a godere la vita e sfuggire gli affanni. E perché il salto dalla vita alla morte sia meno brusco, gli abitanti hanno costruito una copia identica della loro città sottoterra. " Italo Calvino
Grande giornata di visite a Xian e dintorni. Si comincia con l'esercito di
terracotta dove vado con i Coluzzi e con quelli del pick-up. E' difficile
descrivere la meraviglia di queste statue. Ne avevo già viste alcuna ad una
mostra in Italia, ma queste distese innumerevoli nel loro ambiente sono tutta
un'altra cosa. Forse la cosa che stupisce di più è che i volti abbiano delle
espressioni molto realistiche e tutte diverse, smentendo il luogo comune che a
noi i cinesi sembrino tutti uguali. E sono state fatte per non essere mai
viste. I Coluzzi ci sono già stati l'anno scorso e ci guidano fra i padiglioni
e a comprare un bel libro firmato dallo scopritore. Ci sono molti turisti
occidentali, fra cui parecchi spagnoli. Una donna ci porta a pranzare nel
retro di un grande negozio e mangiando tratto un Buddha bifronte di giada, ma
c'è chi ha comprato molto di più. Il prezzo pagato per la stessa confezione di
soldatini varia da 50 a 8 yuan. Riprendiamo i mezzi per andare a vedere il
tumulo dell'imperatore, una grande collina piramidale. Appena arrivati abbiamo
la fortuna di assistere ad uno spettacolo in costume. Poi lungo una scala
saliamo in cima, ma non c'è molto altro da vedere. Torniamo a Xian e,
abbandonati dal pick-up andiamo a fare un giro un bici sulle vecchie mura.
Quindi visito da solo il centro con le due pagode ed il suk e alle 18:45
incontro Riccardo che mi dice che oggi è il suo compleanno e mi invita a cena,
ma ormai ho altri programmi: alle 19 mi ritrovo con i Coluzzi ad un McDonald
per una cena presto. Infatti poi, dopo una doccia in albergo, andiamo a piedi
a vedere degli spettacolari giochi d'acqua, luci e musiche in una grande e
bella piazza sotto la pagoda della Grande Anatra. Ci divertiamo tutti molto e,
finito lo spettacolo, me ne vado da solo a fare una passeggiata intorno alla
pagoda e quando torno in albergo sono le 22:30 e non ho la forza di andare a
vedere se è vero che il martedì le ragazze entrano gratis nei locali notturni,
come c'è scritto sulla guida.
" Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d'aria ha terra. Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d'argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un'altra scala in negativo, sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con nuvole... Di notte, accostando l'orecchio al suolo, alle volte si sente una porta che sbatte. " Italo Calvino
Si parte da Xian verso le 8:30. I Coluzzi sono partiti molto presto per fare
una deviazione culturale. Fuori dalla città prendiamo tutti l'autostrada. E'
nuvolo, ma non piove. Circa 10 km prima di dove la carta indica un bivio
sull'autostrada e noi dobbiamo andare vero nord, Rick esce dall'autostrada.
Tutti protestiamo, i soliti in maniera più accesa. Poi, nonostante sia
contrario, mi adopero perché seguiamo tutti la decisione di Rick e così
facciamo. Lui però sbaglia strada, andando verso sud. Me ne accorgo subito e
gli faccio segno. Torniamo indietro ed attraversiamo un lungo ponte su un
fiume molto largo. Subito dopo ricomincia l'autostrada, che la polizia ci
consente di prendere tutti. Dopo non ci sono congiunzioni con altre
autostrade. Quindi la decisione di Rick è stata giusta: quello che abbiamo
fatto è l'unico ponte e la carta è sbagliata, come è successo varie altre
volte. Arrivata l'ora di pranzo Rick esce dall'autostrada per trovare un posto
per mangiare. Abbiamo tutti fame e lo seguiamo, anche se, con il senno di poi,
sarebbe stato meglio cercare un autogrill sull'autostrada. Infatti dopo pranzo
abbiamo difficoltà a rientrarci perché la polizia non lo consente a noi
motociclisti. Le auto entrano, Giorgio, più egoista che individualista, buca
il casello per fatti suoi e noi altri proseguiamo con Rick sulla strada
normale. Poco dopo comincia a piovere, mettiamo le tute, ma la strada bagnata
è un vero calvario. Il gruppo si sgrana e rimango solo dietro a Rick. Dopo una
trentina di km mi fermo ad un imbocco dell'autostrada per convincere Rick ad
entrare. Lui, avendo la responsabilità di guida, è comprensibilmente restio a
farci commettere illegalità, ma capisce il pericolo e la perdita di tempo di
continuare sulla strada normale. Aspettiamo gli altri per mezz'ora, ma non
arriva nessuno: sono probabilmente già entrati tutti in autostrada. Alla fine
entriamo anche noi, io davanti buco il casello, Rick dietro fa finta di non
conoscermi. Piove e c'è nebbia, ma in un paio d'ore faccio i 200 km che ci
separano dall'uscita per Pingyao dove trovo tutti gli altri e poi arrivano
anche Rick, Carlo, Maurizio ed Angelo ed andiamo finalmente in albergo che
sono passate le 20. Queste lunghe giornate di moto sotto la pioggia sono
piuttosto stressanti e lasciano traccia sull'umore e la calma. Stasera i
separatisti d'albergo sono parecchi: oltre ai soliti Giorgio e Giampi, si
aggiungono Daniele, Maurizio, Ivano, Betti, Riccardo e Stefania. Noi
superstiti andiamo a mangiare nell'ottimo ristorante di un albergo vicino,
dove hanno anche un vocabolario per aiutare le ordinazioni.
Ieri sera a mezzanotte sono arrivati anche i Coluzzi molto stanchi. Alle 8
sono già in giro a vedere Pingyao. Partendo dall'albergo mi fanno notare che
c'è un chiodo infilato nella gomma posteriore della mia moto. La gomma è
ancora gonfia, evidentemente il chiodo fa da tappo. Mi pare che la visita sia
più importante della riparazione. La città ha una cinta rettangolare di mura,
simile a quella di Xian, ma all'interno ha conservato i vecchi edifici in
un'atmosfera molto pittoresca e senza stonature. E' proprio un gran piacere
camminare a scoprire scorci, architetture, attività e monumenti. Il traffico è
molto limitato ed in alcune zone chiuso del tutto. Una delle cose più
affascinanti è la possibilità di visitare le case dei personaggi importanti
del luogo, che sono rimaste abbastanza intatte con ancora molti mobili e
suppellettili antiche. Finalmente vedo i primi bei vasi cinesi ed alcuni
mobili laccati. Interessanti sono anche le vecchie banche: Pingyao ha alcune
delle prime banche cinesi ed è stato il primo posto in Cina dove sono stati
emessi assegni. Alcune banche avevano anche un cortile per le arti marziali ed
un tempietto per le preghiere. Visito un tempio taoista con i frati vestiti di
blu scuro ed uno confuciano. I riti con le candele fumose e profumate sono
simili dappertutto. Al centro c'è la solita pagoda, purtroppo in restauro.
Incontro Carlo che passeggia con un italiano che gira il mondo in Vespa con la
sua compagna tailandese. Poi entro in un meraviglioso albergo che mi fanno
visitare e vedo anche due belle stanze. Se dovessi tornare con Carla verrò
qui. Alla fine compro un'ottima focaccia al sesamo e torno in albergo. Vado
con l'autista di Rick da un gommista che mi fa una riparazione lampo con i
soliti tamponi. Prima di partire pranziamo nel ristorante dell'albergo. Il
gruppo si divide ancora: Giorgio, Giampi, Maurizio, Daniele, Ivano, Betti,
Riccardo e Stefania decidono di stare a Pingyao un'altra notte e ci
raggiungeranno a Datong. Fabio è già per fatti suoi chissà dove. La buona
notizia è che Michelangelo prende un aereo per tornare in Italia, mentre due
autisti guideranno la sua auto fino a Pechino, perché sia imbarcata nel
container insieme ai nostri veicoli. Il giudizio non è ancora concluso, ma il
fatto che lo lascino partire è un ottimo segno. Quindi con Carlo, Angelo, i
Coluzzi e quelli del pick-up partiamo per il sito di montagna di Wutai Shan.
Un passo a 2000 metri è nebbioso ed arriviamo in una valletta con molti
alberghi, alcuni pacchiani e rutilanti di luci. Ne scegliamo uno meno caro
dove ceniamo anche. Poi senza i Coluzzi andiamo nell'albergo più caro a
curiosare e comprare souvenir. Carlo ed Angelo si fanno anche fare un
massaggio.
" E Polo: -- Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. " Italo Calvino
" Benché posta su terreno asciutto Zenobia sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l'un l'altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono. " Italo Calvino
Stamane c'è la colazione in albergo dopo tanto tempo. Però sono lentissimi e
quando arriva la loro roba ho già preso il tè con dei biscotti dei Coluzzi e
assaggio solo della soia prima si partire in moto scarica a vedere i vicini
templi. Sgranati lungo una valle ce ne erano migliaia, ne sono rimasti una
quarantina, ne visitiamo 5, sufficienti a darci un'idea di questo posto, dove
veniva in vacanza anche l'imperatore. Ci sono parecchi fedeli e turisti
cinesi, nessun occidentale. In un tempio, la statua di Buddha è contenuta da
un fiore di loto i cui petali si aprono con un meccanismo che un monaco aziona
calandosi in una botola. In un altro c'è una pagoda di bronzo dorato che
brilla al sole. Uno è in cima ad una collina con una splendida vista. C'è
anche lo stupa tibetano più grande della Cina, niente in confronto a quelli
dello Sri Lanka, ma è tutto di pietra bianca ed è splendido nel verde degli
abeti. Torno in albergo a recuperare i bagagli e partiamo verso nord per
visitare il tempio sospeso. Dopo un passo di 2530 metri ci fermiamo a pranzo
in un ristorante dove c'è un bel gattino addormentato ("mao" in cinese). Siamo
fortunati e piove solo mentre siamo a pranzo. Proseguiamo e Rick ci porta nel
posto sbagliato: paghiamo 20 yuan per fare una bella strada in salita, poi 45
yuan per una cabinovia, prima di accorgerci che non è il posto del tempio
sospeso. Per fortuna ci ridanno i soldi della cabinovia. Finalmente arriviamo
nel posto giusto ed il tempio è abbastanza spettacolare, sospeso su pali su
una parete di roccia nella gola di un fiume. Siamo un po' incerti se
visitarlo, anche perché la mia guida lo denigra. Alla fine mi faccio
convincere a vederlo dai Coluzzi e ne vale la pena, sia per gli scorci fra le
strutture sospese, sia per i colori delle statue dipinte. Intanto Carlo e Rick
sono andati avanti a Datong a cambiare soldi prima che le banche chiudano.
Quindi noi proseguiamo con l'autista di Rick che, arrivati a Datong, ci mette
un'ora a trovare l'albergo dove sono già tutti gli altri, compresi i
separatisti. Giampi, appena mi vede, mi chiede di scaricare le foto e
masterizzare DVD. Evidentemente anche il separatismo ha i suoi svantaggi. Lo
scaricamento glielo faccio subito, per il resto rimandiamo a dopo cena.
Andiamo tutti insieme a mangiare in un vicino ristorante dove cuociono carne,
pasta, verdure e formaggio in una pentola al centro di ciascun tavolo:
un'elaborata versione cinese della fondue bourguignonne. Poi Giampi viene in
camera per masterizzare ed io mi addormento prima che lui finisca.
I separatisti partono per Pechino e noi andiamo a visitare le grotte
buddhiste di Yungang scavate lungo una parete di arenaria ad una quindicina
di chilometri da Datong. Particolarmente impressionante e ben conservato è
un grande Buddha dalle lunghe orecchie, esposto all'esterno. Le grotte sono
simili ad altre che abbiamo già visto. Compro un libretto rosso di Mao con
traduzione in inglese a fronte per Pietro. Tornando verso Datong ci fermiamo
a vedere dei pezzi di grande muraglia, forse resti di torri di avvistamento,
salendo per una stradina sterrata. Poi torniamo a pranzare vicino
all'albergo. Dopo pranzo abbiamo perfino il tempo di fare una pennichella:
si vede proprio che ormai siamo arrivati al capolinea. Andiamo a visitare il
centro di Datong, cominciando dal paravento dei nove draghi, una parete che
serviva per riparare dagli spiriti maligni un palazzo che non c'è più. Poi
vediamo il tempio di Huayan Si, dove Angelo distrae un guardiano per
consentirmi di fare delle foto all'interno. Guidati da Vittoria facciamo
shopping lungo una via di mercato e tornando in albergo con Angelo ci
fermiamo a dei giardini a vedere delle signore cinesi che ballano felici.
Torniamo a cena al ristorante di ieri sera per apprezzare ancora la cottura
al tavolo.
Si parte alle 7:20 per l'ultima tappa verso Pechino. La giornata è nuvolosa
e molto ventosa, ma con l'autostrada arriviamo verso mezzogiorno a Badaling
per vedere la sezione turistica della grande muraglia. Rick ci fa salire con
moto ed auto in una piazza da cui facciamo foto in mezzo ad una folla
entusiasta. Le ragazze fanno a gara per farsi fare una foto con me davanti
alla moto, modestamente (ma è merito della moto). Con quelli del pick-up mi
avvio per il tratto a sud della muraglia. E' tutta rifatta, ma rende bene
l'idea di quest'opera ciclopica, forse militarmente inutile, che si snoda
tortuosa sui crinali. Con Vittorio, buon camminatore, arriviamo fino ad uno
sbarramento dove lavori di rifacimento non sono ancora terminati.
Nell'ultimo tratto si dirada la folla di turisti, di cui molti occidentali,
e l'atmosfera diventa più piacevole, senza però superare il fascino della
muraglia diruta vista ieri o dell'avamposto contro i mongoli visto dopo il
deserto di Taklamakan. Con Vittorio andiamo a mangiare in un ristorante dove
cercano di farci pagare 20 yuan per un bicchierino di carta con del tè: qui
evidentemente sono viziati dai turisti appena sbarcati dall'aereo. Partendo
verso Pechino ci fermiamo a far foto su un pezzo di muraglia meno affollato.
Arrivando a Pechino, Carlo vorrebbe fare una foto al cartello d'ingresso, ma
il cartello non si trova. In albergo troviamo le auto di Riccardo ed Ivano.
Sono un po' triste di questo arrivo, tanto agognato, ma segna la fine del
viaggio e mi accorgo che lo scopo di questo viaggio è stato per me
viaggiare, non arrivare. L'ansia di arrivare, che ha spinto i separatisti ad
arrivare un giorno prima, è un chiaro sintomo di stanchezza. Pechino ci
avvolge tentacolare e tanto vale lasciarsi andare ai preparativi per il
rientro. Vado a comprare delle borse e connettermi ad Internet. Poi in
albergo Carlo, Rick ed un corrispondente locale ci spiegano le procedure per
l'imbarco dei veicoli. Contrariamente ai programmi pare che non potremo
essere noi a caricare le moto nei container, perché i doganieri impiegano 3
giorni per i loro controlli. Dopo lunghe discussioni convinciamo il
corrispondente a cercare di fare tutto in giornata. Il corrispondente dice
anche che i 2 container da 40 piedi e quello da 20 piedi, che sono previsti,
sono insufficienti per le nostre 5 auto e 6 moto e che ce ne vogliono 3 da
40 piedi o un altro da 20 piedi. Carlo telefona a Roma per convincere di
questo Avventure nel mondo. Rick dice anche che quando lui precedentemente
ha imbarcato moto in container, queste erano contenute in apposite casse di
legno. Chissà perché per noi queste non sono previste. A volte penso che
Avventure nel mondo si chiama così perché manda i suoi clienti all'avventura
(cioè allo sbaraglio). Comunque domani Carlo vedrà di nuovo il
corrispondente e cercherà di chiarire procedure e costi. Andiamo a cena in
un KFC, tornati alla civiltà.
" Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l'odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. " Italo Calvino
"
In mezzo ad una terra piatta e gialla, cosparsa di meteoriti e massi
erratici, vedevo di lontano elevarsi le guglie d'una città dai pinnacoli
sottili, fatti in modo che la Luna nel suo viaggio possa posarsi ora su uno
ora sull'altro o dondolare appesa ai cavi delle gru.
"
Italo Calvino
Grande giornata di visite libere a Pechino. Ci si sveglia con calma e verso
le 11 parto da solo in moto per andare a vedere il palazzo d'estate. Devo
attraversare la città, ma, poichè le moto non possono entrare entro il terzo
anello di circonvallazione, prendo il quarto anello ed dopo una ventina di
chilometri arrivo facilmente. Il palazzo è un grande complesso di edifici
sopra e attorno una collina e su un lago. E' molto interessante per
l'eleganza e per il fatto che ci sono ancora i mobili e le suppellettili.
Vado anche al teatro a vedere uno spettacolo di mimi acrobati. La giornata è
bellissima, serena e limpida, e la salita sulla collina è molto piacevole.
Una ragazza mi invita a vedere una galleria di quadri, dipinti da un
professore, per prepararsi a dipingere per le olimpiadi. Ne fotografo uno
con i cavalli per Vittorio. Bellissima è una barca di marmo, che da secoli
aspetta di salpare. Mangio in un posto cinese dove mangiano solo cinesi,
nonostante ci siano anche molti occidentali. Conosco una simpatica famiglia,
la mamma parla inglese. Torno in albergo per la stessa strada. Affitto una
bici e vado verso il centro. Faccio un giro attorno alla città proibita,
attraverso piazza Tienanmen e vado a visitare il tempio del cielo.
L'edificio principale è una meraviglia architettonica. E' tutto di legno,
senza un chiodo, tondo a tre livelli e sorge su una piattaforma di marmo
anche lei a tre livelli. Anche qui una ragazza mi invita a vedere una
galleria dei soliti quadri del professore. Rimane un po' spiazzata quando
gli dico che li ho già visti e le mostro la foto di quello con i cavalli.
Per farla riprendere le chiedo di spiegarmi dov'è il vecchio osservatorio,
che poi vado a vedere sotto la luna. In albergo c'è il solito briefing.
Carlo raccoglie soldi. Mi restituisce i 150 euro che ho dato ad Elena, per
il trasporto del mio passaporto. Gli dò 130 euro per le operazioni di
imbarco della moto e 60 yuan per il pulmino per l'aeroporto e per rifondere
a Rick i debiti di Giorgio, a cominciare da quello per il trasporto della
sua moto sul camion, quando non riusciva a fare la pista sterrata. Sono
molto stupito che lui, pur presente, non dica niente e lasci che noi
paghiamo per lui. Non credevo che gli antagonismi del viaggio si fossero
incancreniti fino a questo punto. Poi rinunciamo ad andare a cena al Roasted
Duck in centro e ripieghiamo per un ristorante vicino per non far tardi:
domani mattina ci aspetta una sveglia presto. Salutiamo Giorgio che parte
per il suo viaggio di ritorno.
Ci svegliamo alle 4:30 per partire alle 5, ma si parte verso le 5:20 per il
porto di Tongu sul Pacifico (!!!), dove imbarcheremo i mezzi. Seguiamo il
pulmino bianco che ci riporterà indietro. Betti e Stefania insistono per
accompagnare i rispettivi mariti, nonostante il poco spazio nel pulmino che
ci riporterà indietro. Con tutto quello che c'è da vedere e fare a Pechino,
deve essere proprio amore. A pochi chilometri dall'arrivo sull'autostrada la
Yamaha di Daniele si ferma di botto. Giampi cerca di ripararla, ma si deve
essere rotta la bobina e finiamo per caricare la moto sul pulmino. Al
casello Giampi passa senza pagare, lo beccano e si perde altro tempo.
Arriviamo ai container che sono passate le nove e comincia una lunga attesa.
Troviamo la macchina di Michelangelo caricata sopra un camion, perché dicono
che si è rotta la frizione. Poi risulta che invece aveva solo finito l'olio
della frizione. Con altri decido di pagare 50 euro pur di tenermi la targa,
la patente ed il libretto cinesi. Praticamente tutta la mattina non succede
niente. Se uno cerca di informarsi sul da farsi, interviene Giampi a dire:
"Stai calmo, tanto dovremo star qui fino a stasera". Per fortuna ci fanno
usare una stanza da riunioni con un grande tavolo, dove leggo e scrivo
cartoline e al computer. Ci pranziamo con della roba che Carlo è andato a
comprare. Finalmente alle due passate arriva il corrispondente e legge i
numeri di telaio e del motore dei veicoli. Poi ci presenta un conto dove,
oltre ai 130 o 150 euro già pagati ci sono altri 40 euro a testa per fare le
operazioni in un giorno invece che in tre. Ovviamente fervono le discussioni
e alla fine decidiamo di rimandare il pagamento ad operazioni concluse. Dopo
le tre arriva un poliziotto che si fa leggere i numeri di telaio e motore
dal corrispondente, spuntando l'elenco che ha dato Carlo. Quindi finora i
doganieri non hanno fatto un gran lavoro. Poi ci fanno vedere i nostri
container, due grandi ed uno piccolo. Inizia una serie di prove per vedere
come possiamo farci entrare tutto. E' praticamente impossibile, come il
corrispondente aveva già detto due giorni fa. Si materializza quindi un
altro container piccolo che partirà dopo qualche giorno con l'auto di
Michelangelo. I nostri container dovrebbero arrivare a Livorno a metà
ottobre. Cominciamo quindi le operazioni di carico. Giampi si precipita a
prendersi il posto migliore nel container piccolo per le moto (uno dei due
in cui si può puntare la ruota davanti sul fondo del container, l'altro lo
prende Angelo). Maurizio ed io prendiamo gli altri due posti. Fissiamo le
moto lungo le pareti con cinghie, corde e cunei di legno. Nei due container
grandi si mettono le auto di Loredano e Alessandro e la moto di Carlo in uno
e le auto di Riccardo e Ivano e la moto di Daniele in un altro. Alla fine
facciamo delle foto e Carlo fa firmare a noi 4 che abbiamo messo le moto nel
container piccolo un foglio con cui solleviamo l'organizzazione da eventuali
responsabilità dovute al fissaggio delle moto. A questo punto sono le sette
di sera e, visto che effettivamente le operazioni si sono concluse in
giornata, ci sono da pagare i famosi 40 euro. Tutti paghiamo, solo Giampi si
rifiuta rumorosamente. Perdiamo così un'altra mezz'ora dopo di che Giampi
paga. Ci carichiamo in 12 sul pulmino da 5 posti e ripartiamo per Pechino
dove arriviamo alle 22. E' arrivato Fabio e tutti pensiamo che il suo
ritardo sia una mossa per non ripartire con Giorgio. Andiamo tutti a cena e
poi salutiamo Daniele che prende l'aereo domattina.
Altra giornata libera per visite a Pechino. Dopo colazione vado a cambiare
lo zaino, a cui si è già rotta un cinghia e due cerniere, e a connettermi ad
Internet. Poi, grazie all'aiuto di una signora che parla un po' inglese,
affitto una bicicletta migliore di quella dell'albergo e ritorno in centro a
vedere il parco Jingshan, subito a nord della Città proibita. E' piacevole e
dalla pagoda più alta, in cui entro di straforo anche se è in restauro, si
gode di una bella vista sulla città. Quando ridiscendo è ormai il momento di
affrontare la Città proibita, che ho rimandato finora. Entro dalla porta
nord e ci passo cinque ore molto intense ed interessanti. Mi piacciono
soprattutto gli arredi e le suppellettili. Ci sono oggetti di giada di tutte
le forme ed una sfera celeste d'oro con le stelle di perle. A pranzo davanti
a me si siede una signora italiana con suo figlio trentenne. Fa delle tali
bizze per ordinare un espresso che faccio finta di essere cinese. Alcuni
edifici a sud sono in restauro, ma c'è comunque talmente tanto da saturare
anche me. Da una delle solite ragazze delle gallerie di quadri compro un
acquerello che dice di aver dipinto lei. Quando esco è un bel sollievo poter
evitare tutti i tampinatori coi risciò facendo vedere che ho la mia bici.
Vado poco ad est al parco Beihai: su una collinetta su un lago c'è un grande
stupa bianco, che chiamano la pagoda bianca. Niente di speciale, ma il posto
è piacevole e riposante. Quando esco sono passate le 17 e ripasso da piazza
Tienanmen per andare in una grande via pedonale piena di bei negozi.
Nonostante che porti la bici a mano, mi ferma un poliziotto per dirmi che le
bici lì non possono andare e la metto in una strada laterale. Entro in un
negozio di macchine fotografiche per comprare il polarizzatore che ho perso.
Mi mostrano quello originale della Nikon, molto bello ma è segnato un prezzo
di 1980 yuan. Dico che è troppo caro e su una calcolatore un commesso mi
scrive 900 yuan. Sono molto stupito del ribasso, tento invano di
mercanteggiare ancora e alla fine decido di prenderlo. Non accettano la
carta di credito e mi fanno vedere che lì accanto c'è una banca. Prendo 1000
yuan all'automatico e quando torno mi dicono che hanno venduto il filtro.
Chiaramente non è possibile, forse si sono accorti di avermi fatto uno
sconto eccessivo, li prendo a male parole e me ne vado seccato. In realtà mi
hanno salvato da una spesa assurda. Infatti in un altro negozio poco più
avanti compro a 320 yuan (32 euro) un polarizzatore non originale, come
quello che ho perso, pagato 50 euro a Firenze. Me ne torno in albergo alle
19 e mi tengo la bici, perché quello che me l'ha affittata è già chiuso.
Andiamo tutti a cenare ad un ristorante che fa l'anatra arrosto a 5 minuti a
piedi dall'albergo. Non sarà quello famoso in centro, ma l'anatra è molto
buona e l'ambiente piacevole. Anche il prezzo è molto più basso di quello
che ha minacciato Carlo (meno di 60 yuan, invece di più di 200) ed avremmo
potuto mangiare di più. Carlo incarica una bella cameriera di portare ad
Ivano le targhe ed il libretto cinesi della sua auto, che abbiamo deciso di
pagargli noi per ringraziarlo di tutti i piaceri che ha sempre fatto a noi
motocislisti.
" Ai piedi del trono del Gran Kan s'estendeva un pavimento di maiolica. Marco Polo, informatore muto, vi sciorinava il campionario delle mercanzie riportate dai suoi viaggi ai confini dell'impero: un elmo, una conchiglia, una noce di cocco, un ventaglio. " Italo Calvino
" E tu? -- chiese a Polo il Gran Kan. -- Torni da paesi altrettanto lontani e tutto quello che sai dirmi sono i pensieri che vengono a chi prende il il fresco la sera seduto sulla soglia di casa. A che ti serve, allora, tanto viaggiare? " Italo Calvino
Ultimo giorno a Pechino. Dopo colazione preparo i bagagli e li porto nella
stanza di Carlo che teniamo fino ad oggi pomeriggio. Poi vado dalla signora
che mi ha affittato la bici, le chiedo di tenerla ancora un giorno e parto
per il centro. Ormai giro la città in bici come un locale. Vado a vedere il
tempio dei Lama Yonghe Gong a nord est della città proibita. Dopo tutti i
meravigliosi templi che abbiamo visto, qui non c'è niente di nuovo, ma è
interessante vedere la grande religiosità della gente, stavolta vestita alla
cittadina. Non mi perdo nemmeno il vicino tempio di Confucio, che però è in
restauro e non si vede granché. Poi faccio un giro nel quartiere circostante
dove ci sono ancora vecchie case e vita locale. Mi dirigo verso sud al
mercato delle perle e compro una collana di tre fili per Carla, che mi
preparano sotto i miei occhi secondo le mie istruzioni. Sono molto belle,
ma, dato il prezzo, dubito che siano vere. Sono quasi le due quando vado
finalmente a mangiare in un bel ristorante cinese, dove mangio i primi
involtini primavera del viaggio e del polipo fritto. Quindi torno a
riconsegnare la bici e poi in albergo a fare una doccia nella stanza di
Carlo. C'è anche Daniele che non è riuscito a partire nemmeno stamane con il
visto portato da Carlo, perché dobbiamo essere tutti insieme. Quindi ha
comprato un altro biglietto e volerà con noi. Rick e Fabio sono bloccati
alla frontiera con la Mongolia, perché Giorgio, che non facevano passare
senza Rick, l'ha passata di straforo come si è abituato con l'autostrada.
Solo che i doganieri sono più severi: hanno dato una multa a Rick e non
fanno passare Fabio finché non torna Giorgio. Carlo lo ha detto al telefono
a Giorgio che ha risposto dettando ulteriori condizioni: vive proprio in un
mondo che si costruisce intorno e non si cura degli altri. Arriva il pulman
che ci porta in aeroporto e partiamo alle 18:30. Arrivati comincia una lunga
attesa per la partenza a mezzanotte, interrotta da poche procedure senza
problemi. Fa effetto non viaggiare in moto e soprattutto fare in poche ore
quello che ha richiesto settimane: l'aereo è comodo ed offre grandi
possibilità, ma è del tutto innaturale ed alienante, nel senso che ci
estranea da tutte quelle conoscenze che sono l'essenza del viaggio.
" L'atlante del Gran Kan contiene anche le carte delle terre promesse visitate nel pensiero ma non ancora scoperte o fondate: la Nuova Atlantide, Utopia la Città del Sole, Oceana, Tamoé, Armonia, New-Lamark, Icaria. " Italo Calvino
"Se arrivo a mostrargli Cassiopea, è fatta" Maurizio sulle sue tecniche di seduzione.
"Sperello, tu studi la Via Lattea", Maurizio al distributore di Marina.
"Vittoria, me rimedi 50 euro?", Alessandro alla frontiera d'ingresso in Russia.
"Noi gli facciamo da Intranet", Maurizio passando da un ufficio all'altro alla frontiera con la Russia.
"Alla prima frenata va tutto a posto", Vittorio tutte le mattine caricando il pick-up.
"Aspettiamo per ricompattare il gruppo", Carlo, mentre tutti gli altri lo aspettano 100 km più avanti.
"Quella di Torre Astura è molto più bella", Ivano guardando la torre di avvistamento vicino a Dunhuang.
"Sperello, devo darti una cattiva notizia", Daniele vedendo del liquido colare dalla mia moto, ma era solo acqua dalla tanica per la doccia.
"Sei fortunato che non ho bucato, se no ti tagliavo le gomme", Giorgio dopo il passo sterrato che ci ha portati a Xining.
"Rick, dacci oggi il nostro passo quotidiano".
"Il vero viaggiatore è chi non ha un posto dove tornare", Maurizio parlando della stanchezza del viaggio.
"Se uno non vede l'ora di arrivare, è stanco di viaggiare", versione mia.
"Se uno non vede l'ora di arrivare, forse ha bisogno di cagare", revisione di Maurizio.
1. Chi suona il clacson per primo e/o più forte e/o più a lungo ha ragione, anche in città. Se non hai il clacson devi andare alla speraindio e sono cavoli tuoi.
2. Se devi sorpassare vai pure, senza curarti della riga continua o della doppia riga continua, purché chi proviene in senso opposto abbia spazio per passare sul marciapiede o sulla scarpata.
3. Se da una secondaria ti immetti su una principale, buttati senza guardare: guarda solo se senti un clacson (vedi art. 1).
4. Se hai un veicolo lento, procedi in mezzo alla strada o all'autostrada: così ti possono sorpassare sia da sinistra che da destra.
5. Se il tuo camion va in panne, fermati dove ti trovi e circondalo di pietroni, che poi lascerai sul posto a futura memoria.
6. Se trovi una coda, buttati a sorpassarla: creerai così un ingorgo inestricabile ed avrai tempo per utili scambi di opinioni con i passeggeri degli altri veicoli.
7. Le moto di qualunque cilindrata non possono circolare in autostrada, ma sono invitate a farlo, perché ai caselli le telecamere guardano la parte frontale dei veicoli e non vedranno la loro targa.